Amleto (Innokentiy Smoktunovskiy) scopre che il padre fu assassinato dallo zio Claudio (Mikhail Nazvanov). La ricerca di vendetta porta morte e follia a Elsinore, nel cuore del regno di Danimarca.

Grigori Kozintsev, regista amante dei soggetti complessi e sfidanti (il suo lavoro precedente fu un adattamento del Don Chisciotte), decide di riportare sul grande schermo la tragedia di Shakespeare sedici anni dopo l’esplosiva e innovativa versione di Olivier. Con buon senso, sceglie una direzione ben diversa, con una macchina da presa meno mobile che accentua uno squisito gusto pittorico. Tutt’altro che un’opera statica, però: intelligenti tagli in sede di scrittura rendono il ritmo adattissimo alla forma cinematografica e le molte scenografie ricche di dettagli  danno all’apparato teatrale di partenza una grande vitalità. Momenti di straordinaria bellezza, poi, non mancano: l’apparizione fantasmatica (eppure dall’aspetto solidissimo) del padre di Amleto mette i brividi, e raramente il ralenti è stato utilizzato con tanta efficacia nel rappresentare una solennità mostruosa e traumatica. Ottime anche le scene dello spettacolo teatrale e tutte quelle con protagonista Ofelia, interpretata da Anastasiya Vertinskaya. Lei e il protagonista, soprattutto, non hanno nulla da invidiare alle maestranze britanniche, ma tutto il cast è all’altezza del non semplice compito di rendere vivo e credibile un testo così famoso trasposto in lingua russa. Leone d’argento a Venezia, ex aequo con Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini.
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