Una vedova di origini siciliane (Lucia Bosè) vive in un appartamento milanese assieme al figlio (Maurizio Degli Esposti) e tenta di sbarcare il lunario praticando l'attività di cartomante e sensitiva. Quando il figlio scopre di possedere reali poteri soprannaturali, avranno inizio una serie di accadimenti che porteranno alla tragedia.

Sperimentazione, surrealismo e morbosità inseriti a forza in un calderone inestricabile fanno di Arcana una pellicola difficilmente classificabile e ostica alla fruizione di uno spettatore non solito a un cinema d'avanguardia, nonché emblema del linguaggio estremo e dalle velleità innovative propagandate da Giulio Questi nelle sua scarnissima filmografia. Destrutturando la narrazione, il regista ci immerge in una vicenda cupa e grottesca, nella quale il microcosmo casalingo in cui si consuma il rapporto morboso ed edipico tra i personaggi è intriso di nero misticismo e superstizione. Il contrasto tra modernità della metropoli, vero e proprio mostro che inghiotte e mutila gli abitanti, e l'ingenuità popolare appartenente al mondo arcaico del Sud Italia, l'irrazionalità delle azioni, la violenza visiva: elementi suggestivi, ma poco amalgamati a causa dei continui salti logici e delle voragini narrative. Un film non del tutto riuscito, d'impossibile decifrazione e sterilmente provocatorio, anche se dotato di un fascino strisciante. Scritto da Questi con Franco Arcalli; colonna sonora di Romolo Grano e Berto Pisano.
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