Bashù, il piccolo straniero
Bashu, gharibeh kuchak
Durata
118
Formato
Regista
Durante la guerra tra Iran e Iraq, il piccolo Bashù (Adnan Afravian) perde tutta la sua famiglia in seguito a un bombardamento. Dopo essersi nascosto su un furgone, raggiunge un villaggio lontano da casa: lì le persone parlano un’altra lingua e sono diverse da lui, ma verrà comunque accolto da Naii (Susan Taslimi), la quale è pronta a sfidare i pregiudizi della gente intorno a lei.
Basta il crudo incipit per contestualizzare il film durante uno dei più lunghi conflitti dell’epoca contemporanea; dopodiché la Storia resta sullo sfondo, sempre presente ma mai gestita con facile spettacolarizzazione. Beizai dirige la sua opera neanche due anni dopo il cessate il fuoco ed è immediatamente percepibile la sua volontà di raccontare la sofferenza del suo popolo attraverso lo sguardo di un bambino rimasto solo e spaesato, traumatizzato e incapace di comprendere appieno l’accaduto. Visto il tema e il soggetto, a ogni angolo erano in agguato trappole ricattatorie e pietistiche, eppure il regista le evita mirabilmente, generando una forte empatia con i suoi personaggi senza forzature. È anche un film che tenta di fare luce sulle complessità dell’Iran, Paese di diverse lingue e differenti gruppi etnici, ricercando un elemento comune che è, in definitiva, l’umanità di chi riesce a superare superstizioni e pregiudizi. Non a caso questo è il ruolo dato (oltre che ai bambini, capaci di riappacificarsi dopo ogni scaramuccia) a Naii, donna che vive sola, costretta a badare ai figli e al lavoro nei campi, emancipata per necessità, ma che trova la forza di affrontare tutto il suo villaggio per proteggere e accogliere Bashù. Si sviluppa allora un senso di famiglia che va ben oltre l’appartenenza di sangue, formando una comunità unita per scelta e non per mera circostanza. Bashù inizia a scoprire una nuova quotidianità, apprende una nuova lingua e insegna la propria, e, grazie anche all’elemento pacificatore del persiano, impara a farsi valere in un ambiente perlopiù diffidente e scostante. Il film risulta, in conclusione, una sorta di fiaba fortemente realista che, nei suoi messaggi positivi e mai banali, riesce a far bene al cuore, nonostante tutto. Intensa la prova di Susan Taslimi (fin dalla prima memorabile apparizione con solo gli occhi scoperti) e di grande forza liberatoria e catartica il finale.
Basta il crudo incipit per contestualizzare il film durante uno dei più lunghi conflitti dell’epoca contemporanea; dopodiché la Storia resta sullo sfondo, sempre presente ma mai gestita con facile spettacolarizzazione. Beizai dirige la sua opera neanche due anni dopo il cessate il fuoco ed è immediatamente percepibile la sua volontà di raccontare la sofferenza del suo popolo attraverso lo sguardo di un bambino rimasto solo e spaesato, traumatizzato e incapace di comprendere appieno l’accaduto. Visto il tema e il soggetto, a ogni angolo erano in agguato trappole ricattatorie e pietistiche, eppure il regista le evita mirabilmente, generando una forte empatia con i suoi personaggi senza forzature. È anche un film che tenta di fare luce sulle complessità dell’Iran, Paese di diverse lingue e differenti gruppi etnici, ricercando un elemento comune che è, in definitiva, l’umanità di chi riesce a superare superstizioni e pregiudizi. Non a caso questo è il ruolo dato (oltre che ai bambini, capaci di riappacificarsi dopo ogni scaramuccia) a Naii, donna che vive sola, costretta a badare ai figli e al lavoro nei campi, emancipata per necessità, ma che trova la forza di affrontare tutto il suo villaggio per proteggere e accogliere Bashù. Si sviluppa allora un senso di famiglia che va ben oltre l’appartenenza di sangue, formando una comunità unita per scelta e non per mera circostanza. Bashù inizia a scoprire una nuova quotidianità, apprende una nuova lingua e insegna la propria, e, grazie anche all’elemento pacificatore del persiano, impara a farsi valere in un ambiente perlopiù diffidente e scostante. Il film risulta, in conclusione, una sorta di fiaba fortemente realista che, nei suoi messaggi positivi e mai banali, riesce a far bene al cuore, nonostante tutto. Intensa la prova di Susan Taslimi (fin dalla prima memorabile apparizione con solo gli occhi scoperti) e di grande forza liberatoria e catartica il finale.