Al (Nicolas Cage) e Birdy (Matthew Modine) sono due reduci del Vietnam: il primo è rimasto sfigurato da una ferita al volto, il secondo è internato in un ospedale psichiatrico militare. Per farlo uscire dal delirio in cui è imprigionato, Al stimola l'amico ricordando la loro adolescenza a Philadelphia, i rapporti con le famiglie, i sogni comuni. 

Il Vietnam ha tarpato le ali a una generazione, e l'eroe eponimo di questo film, Birdy, ne è un simbolo tanto ovvio quanto riuscito. Un sognatore, già “appollaiato” al di fuori del più comune concetto di realtà da adolescente, che l'orrore della guerra chiude in una gabbia non soltanto fisica, ma anche mentale (essendo il mutismo schizofrenico un segno di un'immaginazione silenziata, mutilata, reclusa). Il film di Alan Parker non è immune da pietismi e momenti di eccessiva retorica, ma funziona anche grazie alle interpretazioni perfette dei suoi due protagonisti: Nicolas Cage è bravo ad alternare una varietà emotiva (non sempre una specialità della casa) anche col volto reso quasi irriconoscibile dalle bende, mentre Matthew Modine restituisce un Birdy decisamente umano, nonostante il rischio di renderlo da subito un “freak”. Sono gli effetti, e le risonanze sul vissuto e sul passato dei protagonisti, a interessare Parker, che riduce al minimo l'impatto del cinema di guerra sul suo immaginario. Grand Prix (un po' generoso, nonostante i pregi) al Festival di Cannes.

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