Dorian Gray (Ben Barnes), giovane ingenuo e affascinante appena arrivato a Londra, viene iniziato a uno stile di vita dissoluto dal viveur Henry Wotton (Colin Firth). Grazie a un maleficio, Dorian ottiene il dono dell’eterna giovinezza: mentre lui si abbandona al piacere e alle più basse nefandezze, a invecchiare al suo posto è il ritratto eseguito da Basil Hallward (Ben Chaplin).

Il sottotitolo di questa rivisitazione del celeberrimo Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde potrebbe essere “Come rovinare un classico della letteratura universale”. Pur avvezzo ad adattare le opere dell’autore irlandese (Un marito ideale del 1999 e L'importanza di chiamarsi Ernesto, 2002), Oliver Parker trasforma il capolavoro gotico in uno (pseudo)horror, forse per attirare il pubblico più giovane, e confeziona un imbarazzante prodotto commerciale dall’evidente miscasting (improponibile Barnes) in cui la trovata del quadro che prende vita è solo la “perla” più trash. Come se non bastasse, Parker e lo sceneggiatore Toby Finlay si inventano una storia d’amore redentrice che stravolge completamente il senso del testo originale. Aberrante. Tra le tante trasposizioni cinematografiche del romanzo ricordiamo almeno Il ritratto di Dorian Gray (1945) di Albert Lewin e l’italiano Il dio chiamato Dorian (1970) di Massimo Dallamano.
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