Drugstore Cowboy

Bob (Matt Dillon) è alla guida di una gang formata da tossicodipendenti che vagabondano per il paese rapinando drogherie. Alle loro calcagna c'è la polizia, ma le certezze di Bob cambieranno presto e la sua amoralità vacillerà.

L'opera seconda del cineasta indipendente Gus Van Sant è ammirabile sia per il controllo del regista sulla materia, che per il modo in cui scruta i suoi personaggi e i loro abissi. Van Sant mostra di sapere inquadrare benissimo il fascino di un'esistenza randagia e di una mitologia americana della vita di strada, senza però cedere ai soliti stereotipi. Un film ben calato nel suo tempo, che dal pulpito non così scontato della fine degli anni Ottanta riesce a prefigurare gli echi della successiva rabbia grunge: tema assai caro al regista in opere successive come Belli e dannati (1991) e Last Days (2005). Dillon è ottimo nell'incarnare le diverse sfaccettature del suo personaggio, e la sua performance sostiene l'intero film, limitando al minimo sindacale i cedimenti di tono. Cameo, nella parte di un prete tossicodipendente, dello scrittore della beat generation William S. Burroughs.