Will Hunting – Genio ribelle
Good Will Hunting
Premi Principali
Oscar alla miglior sceneggiatura originale 1998
Golden Globe alla miglior sceneggiatura 1998
Oscar al miglior attore non protagonista 1998
Durata
126
Formato
Regista
In un quartiere operaio di Boston, un ragazzo di nome Will Hunting (Matt Damon) con un passato già tormentato alle spalle, lavora come inserviente per le pulizie al MIT (Massachusetts Institute of Technology), ma ha un talento speciale del quale non tutti sono ancora a conoscenza: è un genio in matematica e possiede delle qualità intellettive assolutamente fuori dal comune.
Gli attori Matt Damon e Ben Affleck, premiati con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, hanno dato vita a un copione di buona efficacia, che rilancia in chiave non troppo complessa temi cari alla macchina cinematografica hollywoodiana: il talento, l'accettazione in rapporto a quella che è la propria vera identità, il conflitto tra ciò che è dettato dai sentimenti e ciò che impone la ragione, la contrapposizione tra l'aridità della conoscenza che non dialoga con la vita e la necessità di un sapere che di quella vita sia invece riflesso diretto e prolungamento naturale. La bontà pur sempre schematica dell'operazione sfuma in quell'abusata tipologia di buonismo in cui non è difficile prevedere il risultato, come fosse stata utilizzata una formula matematica già sviluppata altrove diverse altre volte. La mano registica di Van Sant, inoltre, tende conseguentemente e un po' colpevolmente a eclissarsi, dovendo flirtare con un'etica più compromissoria e accomodante rispetto a quella a cui il regista ci ha abituato con pellicole come Drugstore Cowboy (1989) e Belli e dannati (1991). Goffredo Fofi l'ha definito «l'unico film di cui Van Sant dovrebbe davvero vergognarsi» ma, senza arrivare a tanto, è comunque un'opera che può legittimamente infastidire per via di qualche furbizia di troppo. Premio Oscar come miglior attore non protagonista a Robin Williams, alle prese con una prova di grande e commossa misura, alla larga da qualsiasi gigionismo.
Gli attori Matt Damon e Ben Affleck, premiati con l'Oscar per la miglior sceneggiatura originale, hanno dato vita a un copione di buona efficacia, che rilancia in chiave non troppo complessa temi cari alla macchina cinematografica hollywoodiana: il talento, l'accettazione in rapporto a quella che è la propria vera identità, il conflitto tra ciò che è dettato dai sentimenti e ciò che impone la ragione, la contrapposizione tra l'aridità della conoscenza che non dialoga con la vita e la necessità di un sapere che di quella vita sia invece riflesso diretto e prolungamento naturale. La bontà pur sempre schematica dell'operazione sfuma in quell'abusata tipologia di buonismo in cui non è difficile prevedere il risultato, come fosse stata utilizzata una formula matematica già sviluppata altrove diverse altre volte. La mano registica di Van Sant, inoltre, tende conseguentemente e un po' colpevolmente a eclissarsi, dovendo flirtare con un'etica più compromissoria e accomodante rispetto a quella a cui il regista ci ha abituato con pellicole come Drugstore Cowboy (1989) e Belli e dannati (1991). Goffredo Fofi l'ha definito «l'unico film di cui Van Sant dovrebbe davvero vergognarsi» ma, senza arrivare a tanto, è comunque un'opera che può legittimamente infastidire per via di qualche furbizia di troppo. Premio Oscar come miglior attore non protagonista a Robin Williams, alle prese con una prova di grande e commossa misura, alla larga da qualsiasi gigionismo.