L'imperatrice Yang Kwei-fei
Ykihi
Durata
89
Formato
Regista
Cina, VIII secolo. Una sguattera (Machiko Ky) somiglia incredibilmente alla defunta moglie dell'imperatore: quest'ultimo (Masayuki Mori) la porta a palazzo e la prende in moglie. La sua vita cambierà improvvisamente e persino il suo verrà modificato in Yang Kwei-fei.
Ispirato a una nota poesia cinese dell'epoca T'ang, un film che racchiude molte delle tematiche predilette da Kenji Mizoguchi: in primis, il servilismo a cui è costretta la figura femminile e un evento che farà cambiare totalmente l'esistenza del personaggio principale. C'è però una grossa differenza rispetto alle precedenti pellicole del regista: è il suo primo lavoro a colori (il secondo e ultimo, girato nello stesso anno, è La nuova storia del clan Taira con cui ha più di un punto in comune) seppur sembri che Mizoguchi li utilizzi da una vita. Fluido nei movimenti di macchina e nel montaggio, il film si concentra su una serie di intrighi di palazzo – da una cospirazione di corte alla ribellione del popolo – che vedono vittima la nuova imperatrice. È però una sceneggiatura meno coinvolgente rispetto a quelle messe solitamente in scena da Mizoguchi e il ritmo ne risente, soprattutto nella parte centrale. Nonostante tali limiti (rarissimi nella carriera del regista) i guizzi non mancano, a partire dalle prime battute e dalla splendida scena dell'impiccagione. Notevole prova di Machiko Ky, che Mizoguchi aveva già diretto nel suo capolavoro assoluto I racconti della luna pallida d'agosto (1953).
Ispirato a una nota poesia cinese dell'epoca T'ang, un film che racchiude molte delle tematiche predilette da Kenji Mizoguchi: in primis, il servilismo a cui è costretta la figura femminile e un evento che farà cambiare totalmente l'esistenza del personaggio principale. C'è però una grossa differenza rispetto alle precedenti pellicole del regista: è il suo primo lavoro a colori (il secondo e ultimo, girato nello stesso anno, è La nuova storia del clan Taira con cui ha più di un punto in comune) seppur sembri che Mizoguchi li utilizzi da una vita. Fluido nei movimenti di macchina e nel montaggio, il film si concentra su una serie di intrighi di palazzo – da una cospirazione di corte alla ribellione del popolo – che vedono vittima la nuova imperatrice. È però una sceneggiatura meno coinvolgente rispetto a quelle messe solitamente in scena da Mizoguchi e il ritmo ne risente, soprattutto nella parte centrale. Nonostante tali limiti (rarissimi nella carriera del regista) i guizzi non mancano, a partire dalle prime battute e dalla splendida scena dell'impiccagione. Notevole prova di Machiko Ky, che Mizoguchi aveva già diretto nel suo capolavoro assoluto I racconti della luna pallida d'agosto (1953).