Il male non esiste

In un villaggio nei pressi di Tokyo, la quiete degli abitanti, abituati a condurre una vita modesta e perfettamente calata nella natura, viene destabilizzata da un progetto di gentrificazione proposto da una società esterna. La vita di Takumi (Hitoshi Omika) potrebbe quindi trovarsi innanzi a un cambiamento radicale.

A due anni di distanza dal precedente Drive My Car (2021), film che gli valse un premio Oscar come miglior titolo internazionale, il regista giapponese Ryūsuke Hamaguchi torna dietro la macchina da presa per firmare un'altra opera concettuale, densa e decisamente simbolica con cui sfidare lo sguardo del pubblico. Lo spunto narrativo è giusto un pretesto per permettere al cineasta di indagare il delicato rapporto tra uomo e natura e le conseguenze sulle relazioni umane. C'è tanta carne al fuoco in Il male non esiste, dal conflitto generazionale alla minaccia di una comunicazione tecnologicamente vacua (tanti i momenti in cui telefoni e pc falliscono nel loro intento), da una natura leopardiana destinata a scomparire (?) fino al ruolo di ogni singolo individuo all'interno del proprio habitat. Inizialmente il film fatica un po’ troppo a carburare, ma Hamaguchi riesce comunque a farsi portavoce di un cinema contemplativo e calibrato in ogni sua componente, orchestrando una vera e propria sinfonia audiovisiva che alterna momenti più didascalici ad altri in cui sprigiona tutta la sua potenza grazie anche all'eccezionale colonna sonora a cura di Eiko Ishibashi. Il finale enigmatico può lasciare un po' interdetti, ma si tratta di una scelta coerente e stimolante per chiudere un'operazione che richiede al pubblico uno sguardo attivo, curioso e sempre vigile per poter essere apprezzata appieno. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 dove ha vinto il Gran Premio della Giuria.