Alice (Marion Cotillard) è un'attrice, mentre suo fratello Louis (Melvil Poupaud) era un insegnante e un poeta. Alice odia suo fratello da oltre vent'anni e non si vedono da tantissimo tempo, ma la morte dei rispettivi genitori li rimetterà faccia a faccia. 

Il regista francese Arnaud Desplechin opera una brusca virata di tono (e di qualità) nella sua filmografia, raccontando con toni melodrammatici e a tinte forti, ma quasi sempre stonati, il rapporto tra un fratello e una sorella separati da un disprezzo atavico ed evocati direttamente fin dal titolo nella loro condizione di consanguinei. I temi alla base del cinema del regista ci sono tutti, dall’indagine familiare a una riflessione sulla componente letteraria tanto della parola, evidentissima ed esondante in scrittura, quanto delle relazioni umane e dei sentimenti. A mancare completamente, tuttavia, sono la messa a fuoco delle singole psicologie e la loro verosimiglianza, che naufragano malamente in una girandola di situazioni esagerate e sopra le righe. Il libero intarsio di sregolate suggestioni cinematografiche e teatrali non può rappresentare assolutamente un alibi rispetto al maltrattamento così grossolano di tutti i personaggi in campo, ridotti nella quasi totalità dei casi - eccezion fatta per i due protagonisti, il cui legame quasi incestuoso è sempre ipocritamente suggerito ma mai davvero affrontato - per figure di contorno quando addirittura non di semplice passaggio. Nei suoi continui, ruvidi cambi di fronte, nei tanti ribaltamenti schizofrenici e nel suo verbosissimo ma sterile incedere, Fratello e sorella è un film in cui le ossessioni  di Desplechin - qui ridotti a insopportabili stilemi senza senso e senza peso - finiscono completamente per cannibalizzare ogni sorta di afflato, in una malandata e auto-compiaciuta faida familiare che non ha mai né il coraggio di incidere in profondità nel cuore di Alice e Louis né tantomeno quella di convocare alcuna sfumatura di sorta (con più l’aggravante di un sottofondo di disinteressato cinismo mai realmente sintonizzato sulla vitalità che dovrebbe raccontare). I momenti più liberi e onirici, come la levitazione di Louis sui tetti della città (il film è girato in gran parte a Lille e Roubaix, luoghi cari all’autore) e le tante sequenze di raccordo che servono solo a mandare avanti una sceneggiatura rattoppata, sono il chiaro segnale di uno sbandamento dilagante, al quale non basta la volenterosa abnegazione degli interpreti per riscattarsi. Particolarmente tagliato con l’accetta, come tutto il resto, anche il finale africano. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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