Massimo Gramellini (Valerio Mastandrea) da quando ha nove anni convive con il dolore per la scomparsa inaspettata di sua madre (Barbara Ronchi). Nonostante la carriera da giornalista lo porti spesso a isolarsi dal contesto più intimo e privato, il passato continua a non lasciargli tregua.

Tratto dall'omonimo romanzo autobiografico firmato da Massimo Gramellini, Fai bei sogni non è semplicemente un adattamento cinematografico del testo di riferimento, quanto piuttosto una personale rilettura di Bellocchio. Raccontando infatti la fatica provata dal giornalista piemontese nel superare il lutto legato alla scomparsa della madre, il regista costruisce un'opera fondata sul tema del ricordo: sono tanti i fantasmi che aleggiano durante le (ingiustificate) due ore di proiezione, a cominciare dal televisivo Belfagor sino, ovviamente, a quello costantemente presente della defunta. Eppure il film si sofferma notevolmente per ricordare anche un'Italia che non c'è più, segnata dalla scomparsa del Grande Torino e dagli show canori di Raffaella Carrà. Effettivamente, è proprio quando l'autore concentra la sua attenzione su questi particolari che il film convince, trovando la giusta misura per declinare su ampia scala temi delicati e attualissimi (in un mondo frenetico che sembra non fermarsi mai e mutare aspetto ogni giorno: mai come oggi la malinconia per i tempi che furono si è resa così viscerale e costante). Tuttavia, per la maggior parte dei minuti l'attenzione è giustamente rivolta al trascorso personale di Gramellini, declinato con una chiave cinematografica che invece non trova la forza narrativa adeguata e lo slancio necessario per fare breccia negli occhi e nel cuore degli spettatori. Continuando ad alternare piani temporali diversi e inserendo sequenze autonome che scuotono la visione ma si lasciano presto dimenticare (ricco, a tal proposito, il parterre delle partecipazioni amichevoli da Fabrizio Gifuni a Valeria Golino, passando per Roberto Herlitzka e Piera Degli Espositi), Fai bei sogni restituisce un mosaico disordinato, a tratti malinconico e toccante ma complessivamente più debole del dovuto. Scelto come film di apertura della Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes 2016.


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