Nelle strade di un piccolo comune della provincia di Viterbo si riversano molte persone, circondate dalla musica della banda del paese: è il 15 agosto, la processione che celebra la Madonna, che ad un certo punto viene colpita da una serie di spari che provengono da un uomo, Mario, che la colpisce con insistenza dal balcone di casa.

In "Fuoco!" dettagli e particolari dei corpi che fuggono vengono ripresi dal regista: la folla cerca di scappare, vengono chiuse porte e finestre, la via del paese si svuota e si chiude in un silenzio rotto solamente dalle sirene dei carabinieri. Comincia così una sorta di dialogo tra l’uomo e i carabinieri, che cercano per tutto il film di dissuadere Mario mentre lo spettatore assiste ai suoi malesseri fisici, ai pianti disperati della sua bambina, alla follia degli spari e agli sguardi inermi della donna che è con loro in casa, la moglie Lidia. Non viene mai chiarito, durante e alla fine del film, il perché di quello che avviene nella casa. Baldi non è interessato a darci una risposta, ciò che ci vuole far vedere sono i gesti, le emozioni e le sensazioni di chi vive quella situazione: le carezze di Lidia al cadavere coperto di un’anziana donna, che verrà scoperto e reso riconoscibile solo a metà film, Mario che si sposta da una camera all’altra della casa con l’unico pensiero di caricare le armi, utilizzarle e prendersene cura, proprio come delle creature viventi, la bambina che gioca con le armi del padre, come se fossero dei giocattoli. La notte passa, la donna e la bambina cercano di dormire, Mario continua a girare tra le stanze della casa, non risponde ai carabinieri e rimane in silenzio, demandando le sue parole a pochi gesti fisici, uniche interazioni con chi attende fuori una sua resa.

Il regista ci fa osservare quello che accade in questa storia e in presa diretta si sentono tutti i suoni dell’interno e dell’esterno, come i rintocchi dell’orologio della chiesa, che scandiscono il passare delle ore e accompagnano le azioni nell’appartamento, alcune anche di disarmante normalità, come quando Mario, in piena notte, decide di farsi la barba, fischiettando in un modo macabramente allegro. È ormai giorno ma gli spari di Mario non cessano, l’uomo non vuole prendere una decisione, nessuna voce lo convince a smettere, così continua il suo asserragliamento in casa. Le ore passano, la bambina dorme o piange disperata e Lidia, nonostante tutto, cerca ancora un riavvicinamento con il marito, ricevendo solo percosse; solo in pochi momenti Mario ha per lei gesti di affetto, uno dei quali di preparazione al tragico epilogo, la dolorosa e disperata decisione di Mario, che forse si rende conto di qualcosa, o forse è semplicemente troppo stanco per continuare.

La narrazione del film, non rispondendo a nessuna domanda che lo spettatore inevitabilmente si fa, porta poi lo spettatore stesso a rendersi conto di non averne bisogno. I perché che hanno affollato la mente durante la visione si sciolgono nella consapevolezza di aver forse assistito ad uno “spettacolo” che è specchio della realtà, nella quale non è facile trovare risposte alle proprie domande e in alcuni casi neanche necessario. Baldi ci mostra uno dei tanti mali di vivere, in una storia che non è così rara, in cui azioni drammatiche avvengono per motivi inesprimibili, in cui i meccanismi della ragione prendono direzioni contrarie, in cui il senso di un’azione non esiste, o esiste solo nei reconditi pensieri di chi ne è protagonista. Con uno sguardo partecipe ma esterno, il regista racconta una delle storie concrete di quel popolo povero, senza lavoro e senza prospettive, che abita un mondo marginalizzato che non crede più in nessuna consolazione.

In un film tra documentario e finzione, lo spettatore non si immedesima nei personaggi ma segue la vicenda in modo quasi cronachistico. Baldi mette al centro del racconto i tempi morti di una vicenda, con la verità di uno sguardo, quello di Mario, che ricerca costantemente quello che è l’elemento centrale e sempre presente in tutto il film: l’arma da fuoco, oggetto utilizzato contro la religione, contro il potere, contro la società e anche contro la famiglia. Coevo con il suo tempo, il 1968, il film racconta il clima di quel periodo, la sensazione di ribellione costante, in un rituale che diventa, alla fine, di sacrificio. Il film venne presentato a Venezia nel 1968, poi restaurato nel 2008 dal laboratorio della Cineteca di Bologna “L’immagine ritrovata” e presentato nuovamente a Venezia nel 2009.



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