Due sceneggiatori – uno più sensibile al lieto fine (Louis Seigner), l'altro più fatalista (Henri Crémieux) – collaborano per raccontare la storia di Henriette (Dany Robin), una giovane che mette alla prova la fedeltà del suo ragazzo (Michel Roux) attraverso l'aiuto involontario di un ladro sotto mentite spoglie (Michel Auclair).

Non si tratta tanto di un'opera metacinematografica come potrebbe sembrare, quanto piuttosto di una parodia autoironica sul mondo della settima arte. Duvivier è bravo a calibrare e oliare adeguatamente tutte le tonalità del lavoro, dalla più goliardica alla più cupa, mostrando allo spettatore una gamma di episodi e contesti davvero notevole per farsi un'idea di cosa possa voler dire scrivere una sceneggiatura. Il film, tuttavia, a lungo andare finisce un po' per stancare e risultare meno fluido e naturale di come invece si presenta nella prima parte: una volta imboccata la via maestra, la pellicola tende a ripetersi senza rinnovarsi perdendo dunque lo smalto iniziale. Ma, in ogni caso, la cura formale (magistrale la fotografia di Robert Hubert), le interpretazioni del cast e il curioso intreccio rendono il lungometraggio sicuramente meritevole di una visione.
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