Eric (Steve Evets), un postino di Manchester non più giovanissimo, rimpiange gli errori del passato fino al materializzarsi improvviso del calciatore Eric Cantona, suo idolo di gioventù, che sarà la guida personale per risalire la china.

Probabilmente il film più godibile firmato Ken Loach: l'autore britannico alle situazioni-tipo del suo cinema aggiunge lievi variazioni fiabesche e immaginifiche che si integrano perfettamente alle storie a sfondo sociale che affastellano la sua intera produzione artistica. L'Eric di Loach è divertente e incisivo, grazie all'agilità dello script del fidato Paul Laverty, all'interpretazione di Evets e soprattutto all'epifania con cui lo stesso Cantona si concede all'occhio dello spettatore in qualità di Virgilio, nume filosofico da seguire per ambire a un'esistenza migliore, libera dagli spettri di un passato ricco di errori. Attorno al rapporto tra i due (strutturato con forme e modalità da manuale), si staglia un universo di gangs, figliastri ed ex amori che fanno da moquette, o, per meglio dire, da spartiacque definitivo alla redenzione del protagonista. Che in parte arriva, con tanto di finale conciliante. Non è detto che la bontà possa essere poco efficace, e Il mio amico Eric lo dimostra, rivelando un lato di Loach sorprendente e irresistibile. Niente di trascendentale, forse, ma avercene di commedie così.
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