Peppino Profeta (Ernesto Mahieux) lavora come imbalsamatore, ma è al soldo della criminalità organizzata, che usa gli animali impagliati per loschi scopi. La vita dell'uomo cambia quando conosce Valerio (Valerio Foglia Manzillo), un ragazzo di bell'aspetto che è in procinto di sposare la fidanzata Deborah (Elisabetta Rocchetti). Peppino, complice la sua invadenza e i suoi ambigui gusti sessuali, sconvolgerà l'equilibrio della coppia.

Il film che ha rivelato il talento di Matteo Garrone: quello di un autore raffinato, oscuro, forte di un respiro noir applicato a storie di ordinario disagio individuale e sociale, peraltro all'interno del contesto geografico e cinematografico di un meridione piuttosto alieno rispetto alle modalità con cui si è abituati a rappresentarlo sul grande schermo. Garrone si ritrova a lavorare su dei personaggi finalmente forti (specialmente lo sgradevolissimo nano tassidermista di Mahieux), mettendo a punto una nuova estetica del deforme e dell'abietto e rifondandola in profondità. Passare da una troupe di cinque persone, quella di Ospiti (1998), a una di trentacinque, ha permesso al suo sguardo di viaggiare su un'altra velocità, con una sicurezza fino a questo momento solo intravista, probabilmente dovuta a un lavoro di sceneggiatura durato più di un anno e a una maggiore consapevolezza dei propri mezzi. Il film però non convince fino in fondo, per via di un'aderenza all'emotività dei personaggi che risulta più pensata a tavolino che fatta passare attraverso le loro reali intenzioni e azioni. L'imbalsamatore, infatti, nonostante il cuore nero dei protagonisti (anche quelli apparentemente senza macchia non sono esentati, anzi), non scava molto oltre la superficie della loro esteriorità sociale, come se essa bastasse già a se stessa, senza bisogno d'approfondire oltre, senza mettere a nudo gli elementi in grado di scuotere le certezze e le comodità stereotipiche e sociologiche dello spettatore. Interessante e originale, ma non del tutto compiuto. Garrone evolverà e completerà l'anima del film, riversandone buona parte dello spirito nel successivo Primo amore (2004), ben più crudo, affilato e sconcertante, tanto nelle premesse quanto nei fatti. Nel finale il regista fa ricorso per la prima volta a un dolly.
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