King Kong

1933. Una troupe cinematografica raggiunge un'isola misteriosa per girare un film d'avventura: arrivati a destinazione, scoprono l'esistenza di Kong (Andy Serkis), un gorilla colossale che è considerato sovrano dell'isola. La troupe lo incatena e lo porta a Manhattan per sfruttarlo a scopi commerciali, ma Kong riesce a spezzare le proprie catene e a rapire l'attrice Ann Darrow (Naomi Watts) che porterà in cima all'Empire State Building.

Remake del film omonimo del 1933 diretto da Merian C. Cooper ed Ernest B. Shoedsack, capolavoro di cui era già stato fatto un rifacimento nel 1976, il King Kong di Peter Jackson è un prodotto spettacolare e assai cinefilo che rilegge, aggiorna e modernizza l'opera originale a favore di un nuovo senso dell'epica fantastica. Il forte ribaltamento narrativo fa nascere una toccante storia d'amore, sui generis, tra “la bella e la bestia”, che può commuovere ed emozionare, in particolare nella struggente conclusione. Ma in mezzo a tanti momenti suggestivi (il gigantesco Kong scivola sul ghiaccio come Bambi nell'omonimo classico Disney) e di grande impatto visivo (lo scontro tra il gorilla e il Tirannosauro), c'è spazio anche per alcune prolissità di troppo, soprattutto nella parte centrale, che lo rendono più lungo del dovuto. Il cast funziona a metà: ottima Naomi Watts e funzionale Andy Serkis (che grazie alla motion capture “interpreta” il gorilla), mentre Jack Black non è troppo in parte. Nonostante qualche momento di stanca, in ogni caso, Jackson si conferma un maestro nel padroneggiare gli strabilianti effetti speciali e la descrizione della New York d'inizio ‘900 funziona alla perfezione. Fu il primo lungometraggio firmato dal regista neozelandese dopo la trilogia de Il signore degli anelli.