Le jene del quarto potere

New York: il giornalista Moreau (Jean-Pierre Melville) dell'agenzia France Press viene incaricato di indagare sulla scomparsa del capo della delegazione francese all'ONU. Assistito dal fotografo Delmas (Pierre Grasset), Moreau rintraccia l'attrice Judith Nelson (Ginger Hall) che confessa di aver avuto una relazione con il diplomatico che è deceduto dopo un arresto cardiaco in casa della donna. Delmas fiuta lo scoop, ma deve scontrarsi con Moreau che non vuole divulgare la notizia.

Un noir metropolitano e notturno in cui Melville fa sfoggio del proprio amore per il cinema americano e per l'immaginario a stelle e strisce, evitando lo sguardo cartolinesco o il citazionismo fine a se stesso. New York viene quindi rappresentata come una città cupa e decadente, emblema di una società cinica e disincantata che condanna alla solitudine e all'irrequietezza. Il regista (anche sceneggiatore) riesce a eludere le attese del pubblico e le consuetudini del genere dando vita a un racconto che limita al minimo i momenti d'azione, mentre sfrutta in modo funzionale la costruzione visiva (i personaggi che si muovono in controluce, la predominanza di tonalità ombrose compensate da luci artificiali, la valorizzazione degli spazi) e l'attenzione ai dettagli per rendere un'atmosfera di malinconia e soffusa crudeltà, riflettendo inoltre sullo spietato opportunismo dei media. L'esile trama è quindi un pretesto a partire da cui Melville rielabora gli stilemi del noir in chiave psicologica e antispettacolare, riuscendo con lo stile e la cura formale a raccontare qualcosa di più profondo e problematico rispetto a quanto non emerga in superficie. Opera sperimentale e imperfetta che soffre di qualche didascalismo di troppo, ma rimane sostanzialmente sottovalutata. Prima e unica interpretazione di Melville in un film da lui stesso diretto.