Ukamau

Andrés Mayta (Vicente Verneros Salinas) è sposato con Sabina (Benedicta Huanca). I due vivono su un’isola sul lago Titicaca, coltivando la terra e pescando. Durante un viaggio in città del marito, la donna viene stuprata e uccisa da Rosendo Ramos (Néstor Peredo). Prima di spirare, riesce a sussurrare a Andrés il nome del carnefice: l’uomo mediterà vendetta.

Jorge Sanjinés dirige, sceneggia e monta questo suo primo lungometraggio, il cui titolo (che significa “così è”) darà poi il nome al gruppo di produzione e divulgazione cinematografica fondato dal regista e dal suo co-sceneggiatore Óscar Soria. Il film prende la prospettiva di un uomo indigeno, raccontando la sua vita rurale tra tradizioni e vessazioni. Pur focalizzandosi sull’individuo, il regista ha già interessi più ampi, e Andrés si fa simbolo di un’intera popolazione: non a caso, il compimento della vendetta finale non fu visto di buon occhio dalle istituzioni boliviane, perché mostrava un nativo ribellarsi violentemente ai soprusi, e Sanjinés dovrà accontentarsi di budget ben più limitati e indipendenti per le opere successive. Il film si muove quindi dal particolare per raccontare il generale, e lo fa con grande forza visiva: il lavoro sui dettagli dei visi è eccelso, come nella scena che precede lo stupro e in quella della resa dei conti. Quest’ultima è ambientata in una zona desertica e isolata che dà alla lotta un’aura di inesorabilità esistenzialista, da cui pare quasi dipendere il destino di tutto un popolo che decide di non abbassare più la testa: il cinema rivoluzionario di Sanjinés è già tutto qua. Esordio potente e importante.