
La vita da grandi
Durata
95
Formato
Regista
Irene (Matilda de Angelis) vive a Roma con il fidanzato: con lui sta per compiere il passo importante di comprare una casa assieme. La madre, però, le chiede di tornare a Rimini per prendersi cura del fratello maggiore Omar (Yuri Tuci) mentre lei si reca col marito fuori città per una visita. Omar è ormai un signore di 40 anni, autistico e con il desiderio di diventare un rapper. Nei giorni che i due trascorreranno insieme, Irene gli insegnerà a badare a se stesso, attraverso un “corso intensivo per diventare adulti”.
La vita da grandi, oltre a essere l’esordio alla regia dell’attrice Greta Scarano, è una commedia estremamente dolce e delicata, non solo per le modalità con cui tratta la tematica dell'autismo, senza scadere nella retorica, ma anche per la sensibilità e il rispetto con cui viene rappresentato il personaggio di Omar. Il risultato è un film improntato sulla crescita personale, anche partendo da due condizioni diverse: sia Irene che Omar si trovano a fronteggiare le responsabilità dell’essere ormai adulti, prendendo a volte decisioni errate o dovendo attraversare ipotetici fallimenti. Sono molte le scene corali, tra cui i momenti in famiglia dove gli isterismi reciproci emergono e si scaraventano gli uni sugli altri, alternate a situazioni più intime che riescono a non scadere mai in facili moralismi. Scegliere una tale tematica era senza ombra di dubbio un grosso rischio, che però Greta Scarano è riuscita a correre ottenendo un buon risultato, prediligendo una narrazione semplice, solo a tratti didascalica, senza quasi mai incappare negli stereotipi che pellicole di questo tipo portano spesso con sé. Il finale non è all’altezza del resto del lungometraggio, ma il disegno d’insieme risulta sincero e la resa finale è quella di un’opera prima di buona maturità.
La vita da grandi, oltre a essere l’esordio alla regia dell’attrice Greta Scarano, è una commedia estremamente dolce e delicata, non solo per le modalità con cui tratta la tematica dell'autismo, senza scadere nella retorica, ma anche per la sensibilità e il rispetto con cui viene rappresentato il personaggio di Omar. Il risultato è un film improntato sulla crescita personale, anche partendo da due condizioni diverse: sia Irene che Omar si trovano a fronteggiare le responsabilità dell’essere ormai adulti, prendendo a volte decisioni errate o dovendo attraversare ipotetici fallimenti. Sono molte le scene corali, tra cui i momenti in famiglia dove gli isterismi reciproci emergono e si scaraventano gli uni sugli altri, alternate a situazioni più intime che riescono a non scadere mai in facili moralismi. Scegliere una tale tematica era senza ombra di dubbio un grosso rischio, che però Greta Scarano è riuscita a correre ottenendo un buon risultato, prediligendo una narrazione semplice, solo a tratti didascalica, senza quasi mai incappare negli stereotipi che pellicole di questo tipo portano spesso con sé. Il finale non è all’altezza del resto del lungometraggio, ma il disegno d’insieme risulta sincero e la resa finale è quella di un’opera prima di buona maturità.