Panni sporchi
Durata
99
Formato
Regista
Nella stazione di Milano Centrale, in un giorno d'inverno, si incrociano molte persone: c'è chi è solo di passaggio, come i pendolari e gli studenti, chi ci lavora, come i manovratori, o chi è semplicemente emarginato e in cerca di un rifugio. Una umanità variegata costituita da alcolizzati arrabbiati con il mondo, donne rimaste incinte e abbandonate dal compagno, uomini che cercano di prendere le distanze dalle mogli, prostitute, tossicodipendenti.
Il titolo dell'opus n° 3 di Giuseppe Bertolucci prende spunto dall'affermazione di Giulio Andreotti in riferimento al successo del Neorealismo all'estero, secondo cui «i panni sporchi si lavano in casa»: all'esterno bisogna mostrare solo la parte migliore di sé, nascondendo quello di cui ci si vergogna. Il regista di Parma non ci sta e torna sul posto dove ha girato il precedente film di finzione Oggetti smarriti (1980) per realizzare un documentario che offre uno scorcio sulla società italiana, in particolare quella più scomoda e ai margini. Ogni persona intervistata offre una propria visione della vita, mostrando la dignità di ognuno di loro senza pietismi o esaltazione, facendo domande e lasciandoli parlare liberamente: la curiosità espressa è reale, non puntata a ottenere solo le stranezze o i drammi tipici di un certo tipo di indagine giornalistica. Un'operazione interessante, ben equilibrata e (purtroppo) sempre attuale, a cui manca una prospettiva personale in grado di approfondire le cause oltre a mettere in mostra le conseguenze.
Il titolo dell'opus n° 3 di Giuseppe Bertolucci prende spunto dall'affermazione di Giulio Andreotti in riferimento al successo del Neorealismo all'estero, secondo cui «i panni sporchi si lavano in casa»: all'esterno bisogna mostrare solo la parte migliore di sé, nascondendo quello di cui ci si vergogna. Il regista di Parma non ci sta e torna sul posto dove ha girato il precedente film di finzione Oggetti smarriti (1980) per realizzare un documentario che offre uno scorcio sulla società italiana, in particolare quella più scomoda e ai margini. Ogni persona intervistata offre una propria visione della vita, mostrando la dignità di ognuno di loro senza pietismi o esaltazione, facendo domande e lasciandoli parlare liberamente: la curiosità espressa è reale, non puntata a ottenere solo le stranezze o i drammi tipici di un certo tipo di indagine giornalistica. Un'operazione interessante, ben equilibrata e (purtroppo) sempre attuale, a cui manca una prospettiva personale in grado di approfondire le cause oltre a mettere in mostra le conseguenze.