Mister Chocolat
Chocolat
Durata
110
Formato
Regista
La storia del clown Chocolat (Omar Sy), primo artista circense nero in Francia che conquistò un enorme successo a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Il regista Roschdy Zem porta su grande schermo la storia di un uomo di spettacolo che dovette scontrarsi, all’alba del XX secolo, con i pregiudizi e i limiti di una società razzista e xenofoba, usando tale vicenda esemplare come grimaldello e strumento di riflessione per parlare della Francia del tempo. Il film segue Chocolat, restituendo la sua crescente notorietà e il sodalizio artistico con il collega Footit, con la Parigi della Belle Époque sullo sfondo: un tema reale adattato con la giusta dose di onestà, abnegazione e puntiglio, ma il risultato finale è didattico e scolastico, impersonale e privo di mordente, e l’ostentazione di uno stile il più possibile piano e distaccato, compreso l’uso fin troppo ricorrente della dissolvenza, di sicuro non aiuta. A gravare sulla riuscita dell'opera c’è anche un tono che si fa troppo spesso oltremodo retorico ed edificante, specialmente in una seconda parte più zavorrata e meno fluida della prima (le due ore di durata appaiono dal canto loro diluite e tirate per le lunghe). Non tutto torna nemmeno dal punto di vista del disegno psicologico e il finale, mal dosato a livello di ritmo e di scrittura, è altrettanto rivedibile. Una chiusa in linea con una pellicola che non sceglie un approccio definito né un abito preciso da calzare, a metà tra biopic, parabola storico/didattica e film d’impegno, creando una mistura annacquata di più elementi e non approfondendo a dovere nemmeno il rapporto tra i due protagonisti.
Il regista Roschdy Zem porta su grande schermo la storia di un uomo di spettacolo che dovette scontrarsi, all’alba del XX secolo, con i pregiudizi e i limiti di una società razzista e xenofoba, usando tale vicenda esemplare come grimaldello e strumento di riflessione per parlare della Francia del tempo. Il film segue Chocolat, restituendo la sua crescente notorietà e il sodalizio artistico con il collega Footit, con la Parigi della Belle Époque sullo sfondo: un tema reale adattato con la giusta dose di onestà, abnegazione e puntiglio, ma il risultato finale è didattico e scolastico, impersonale e privo di mordente, e l’ostentazione di uno stile il più possibile piano e distaccato, compreso l’uso fin troppo ricorrente della dissolvenza, di sicuro non aiuta. A gravare sulla riuscita dell'opera c’è anche un tono che si fa troppo spesso oltremodo retorico ed edificante, specialmente in una seconda parte più zavorrata e meno fluida della prima (le due ore di durata appaiono dal canto loro diluite e tirate per le lunghe). Non tutto torna nemmeno dal punto di vista del disegno psicologico e il finale, mal dosato a livello di ritmo e di scrittura, è altrettanto rivedibile. Una chiusa in linea con una pellicola che non sceglie un approccio definito né un abito preciso da calzare, a metà tra biopic, parabola storico/didattica e film d’impegno, creando una mistura annacquata di più elementi e non approfondendo a dovere nemmeno il rapporto tra i due protagonisti.