Lo schivo operatore cinematografico Mark (Carl Boehm) è profondamente segnato dai traumi vissuti in giovane età, quando il padre scienziato lo sottoponeva a violenze fisiche e psicologiche per studiarne le reazioni alla paura. Sempre più schiacciato dalle proprie ossessioni e in preda a una lucida follia, Mark diventa un serial killer che filma giovani donne per immortalare il loro volto straziato l'istante prima di morire.



Capolavoro imprescindibile e titolo di culto assoluto, L'occhio che uccide (il titolo originale, Peeping Tom, in gergo significa "guardone") rimane uno dei lungometraggi più controversi e deviati della storia del cinema, che all'uscita fece gridare allo scandalo non solo per i contenuti di inusitata morbosità, ma anche perché dietro la macchina da presa (qui strumento di morte e prolungamento fisico delle pulsioni violente e sessuali dell'uomo) c'è il distinto e "insospettabile" Michael Powell, maestro del cinema britannico che ha segnato la settima arte insieme al sodale Emeric Pressburger. E rimane incredibile come il regista inglese abbia ucciso il cinema dell'epoca (e non solo) proiettando tutto se stesso all'interno del film, ritagliandosi addirittura la piccolissima (e sfocata) parte del padre aguzzino di Mark. Saggio metafilmico che unisce voyeurismo, riflessione sul cinema, trattato sui traumi infantili, necrofilia, indagine del subconscio, repressione, morbosità del desiderio carnale e, soprattutto, una sconvolgente provocazione allo spettatore, costretto a veder emergere le proprie perversioni in un disturbante processo di identificazione con il protagonista. Powell rimarca ancora una volta la sua ossessione per la rappresentazione e l'artificio, sottolineando come la vicenda viva in un metaforico palcoscenico dai colori irreali e dall'atmosfera opprimente. Un'opera capitale respinta, non incompresa, troppo coraggiosa per poter ottenere consensi da un pubblico con ancora negli occhi i mélo anni '50 e da una critica bigotta e ben poco propensa a esporsi sui temi trattati della pellicola. Ancora più radicale del coevo Psyco (1960) di Alfred Hitchcock, altro epocale esempio di cinema puro che però ha goduto fin dall'uscita di ben altra accoglienza. Scritto da Leo Marks, crittografo durante la Seconda guerra mondiale. Fotografia di Otto Heller, musiche di Brian Easdale, scene di Arthur Lawson.
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