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Tutte le trasmissioni radiofoniche vengono improvvisamente bloccate: ogni rete è inondata da trasmissioni di repertorio degli anni Settanta e Ottanta. Le radio libere sono tornate, ma qualcuno non può tollerare un simile affronto.



Il primo lungometraggio di Massimo Ivan Falsetta è una sorta di docu-fiction che rievoca i momenti gloriosi dell'etere, quando in Italia le radio erano territorio di contro-informazione, libertà e simbolo di una grande forza creativa. Il regista costruisce un esperimento un po' bizzarro, dove la finzione fa qua e là capolino per stemperare, forse, la natura troppo ingessata del documentario. L'operazione è pregna di un respiro malinconico – si sentono le voci dell'epoca, come provenissero da un altro pianeta capace di sopravvivere soltanto nei ricordi di chi l'ha visitato – ma l'idea di base è troppo fragile per sostenere la durata di un lungometraggio. Dallo stile piuttosto anarchico si passa in fretta a trovarsi di fronte un guazzabuglio di ingenuità di ogni sorta, narrative e non, che inficiano totalmente la resa finale. Supponente, poiché per richiamare quel periodo di grande libertà non basta fregarsene delle basi del linguaggio cinematografico.
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