Nel 1915, durante il genocidio armeno in Turchia, il giovane Nazaret Manoogian (Tahar Rahim) viene forzatamente separato dalla sua famiglia e inizia un'odissea infinita per cercare le sue tre figlie. Un lungo viaggio lo porterà fino in Siria, a Cuba e negli Stati Uniti.



Regista tedesco di famiglia turca, Fatih Akin chiude la trilogia dedicata alla sua terra d'origine, iniziata con La sposa turca (2004) e proseguita con Ai confini del Paradiso (2007). Il padre (orrido titolo italiano per l'originale The Cut, che richiama il taglio alla gola del protagonista, la sua conseguente incapacità di comunicare ma anche il suo sradicamento forzato) è un kolossal ambizioso che impegna forze produttive internazionali, girato in inglese e passato in concorso alla 71esima Mostra di Venezia. È coraggioso il tentativo di Akin di confrontarsi con un clamoroso rimosso culturale quale l'olocausto armeno, ma il risultato è un polpettone stucchevole e ammiccante, troppo lungo, banale nello script e non privo di scelte discutibili (le apparizioni oniriche). Sembra quasi che Akin guardi a Il ribelle dell'Anatolia di Elia Kazan (1963), ma è un modello inarrivabile e il pur bravo Tahar Rahim non riesce a salvare un'operazione troppo retorica e autocompiaciuta.
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