48 ore di permesso: è quanto viene concesso a quattro carcerati (Luca Argentero, Claudio Amendola, Valentina Bellè e Giacomo Ferrara) prima che debbano rientrare fra le mura di Civitavecchia. Due giorni per provare a ritrovare un contatto con ciò che hanno lasciato prima di finire nuovamente in galera.

Dopo l’esordio alla regia con il leggero La mossa del pinguino (2013), Claudio Amendola punta più in alto e firma un noir non privo di diverse ambizioni. Il focus è sui quattro personaggi, diversi per età ed estrazione sociale: c’è chi è disilluso, chi spera che attraverso la violenza riuscirà a non tornare dietro le sbarre, chi cerca un ricongiungimento familiare e chi sentimentale. Grazie proprio all’escamotage delle 48 ore che scandiscono l’azione, Amendola dirige con discreto ritmo, puntando su una messinscena spesso essenziale e sull’efficace sceneggiatura scritta insieme a Roberto Iannone e Giancarlo De Cataldo. Dopo una notevole partenza e ottimi presupposti, però, il film cala un po’ alla distanza e la regia di Amendola mostra qualche segno di cedimento: troppo ingombrante la presenza della musica, in particolare, ma anche alcuni dialoghi non incidono come dovrebbero. Funziona bene, invece, il montaggio e il modo in cui si alternano e si intrecciano le varie storie. Fuori parte Argentero, più convincente lo stesso Amendola nei panni del personaggio forse più interessante della pellicola.
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