Due amici del college, Terry (Jack Kilmer) e Phil (Shameik Moore), si innamorano della stessa ragazza, Catherine (Jane Levy), e per un decennio, a partire dalla fine degli anni Settanta, le loro vite si intrecciano e si accavallano senza soluzione di continuità, tra infatuazioni e tradimenti, slanci artistici e fallimenti, dividendosi tra New York e l’Europa.



James Franco agita e frulla in unico contenitore la sua anima cinefila, realizzando un omaggio palese e sfacciato a tanto cinema del passato, dal Truffaut di Jules et Jim (1962) al Godard di Bande à part (1964), passando per Michelangelo Antonioni: un’operazione curiosa per l’instancabile e multiforme attore e regista californiano e un film che saccheggia a pieni polmoni l’immaginario europeo, con indubbia ammirazione, ma anche con una sensibilità e una vocazione espressiva che appaiono ben presto alquanto grossolane e stantie e finiscono col mostrare la corda a più riprese. Il grande cinema d’autore del Vecchio Continente diventa infatti, nelle mani incerte di Franco, una carrellata piuttosto sbiadita di figurine blandamente evocate, da una sensibilità evidentemente affettuosa ma anche inerte. La sensazione è quella di trovarsi di fronte un’opera poco approfondita e volatile, costruita per stereotipi e frasi fatte, tanto sui movimenti culturali e politici dell’epoca quanto sul cinema che contraddistinse gli anni della militanza e della riflessione strutturata sull’individuo e sulla società. Il triangolo sentimentale al centro del film muove da premesse affascinanti (la subalternità del corpo femminile al racconto maschile come fonte di ispirazione artistica), ma la seconda parte e soprattutto il finale, nonostante alcuni momenti ispirati e delle sequenze calorose e mosse a sentimenti forti, perdono irrimediabilmente fascino e mordente. Il discorso formale portato avanti si fa sempre più patinato, anche nell’estetica, e si approda a un finale posticcio, pieno di colpi di scena, chiuse drammatiche e sottolineature conclusive ridondanti. Un’occasione persa, anche perché il carisma degli interpreti non è da sottovalutare (Jack Kilmer, figlio di Val, ricorda da vicino il compianto River Phoenix all’apice della sua breve e bruciante carriera) e l’impianto del film nutriva un potenziale tale da rendere possibile una maggiore valorizzazione dei temi che Franco si limita a sfiorare pur lasciando intravedere, solo a tratti, una discreta padronanza dei suoi mezzi. Lo stesso regista si ritaglia un piccolo ruolo ad alto tasso di compiacimento auto-ironia. Nel cast anche Juno Temple e un invecchiato Dennis Quaid. Scritto da Josh Boone e presentato nella sezione Festa Mobile del Torino Film Festival 2018.
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