Il lungo giorno finisce
The Long Day Closes
Durata
85
Formato
Regista
Un anno di vita del giovane Bud (Leigh McCormack), ragazzo di Liverpool, tra il 1955 e il 1956. L'amore per la madre (Marjorie Yates), il senso di inadeguatezza con i compagni di scuola, la crudeltà degli insegnanti, la fascinazione per il cinema e per la musica, la curiosità per la religione, le prime avvisaglie della propria omosessualità: tutto questo costituisce il passaggio dall'infanzia all'adolescente del piccolo Bud.
Opera terza di Terence Davies, che torna a raccontare, con evidenti cenni autobiografici, la dissoluzione di un mondo lontano nella memoria ma vivido nel cuore, metafora evidente di un'infanzia ricca di momenti felici e bui, di gioie e di delusioni, del calore familiare e della rudezza del mondo esterno (specie della scuola), il tutto ricordato con affetto e nostalgia. Il racconto mischia il piano della realtà con digressioni oniriche e concilia toni più melodrammatici con tocchi di umorismo, mentre la narrazione è cadenzata una tenerezza mista a malinconia e a un lirismo sempre sorprendente per come sa emozionare in modo essenziale e profondo. Seguito ideale di Voci lontane...sempre presenti (1988), il film di Davies è abile a evitare qualsiasi manierismo, creando un'atmosfera vagamente onirica a dir poco suggestiva e spiazzante che restituisce un senso di solitudine e al contempo di magia e meraviglia (esemplare l'amore che traspare per la musica e per il cinema), dando vita a un racconto agrodolce che sa essere struggente per come illustra anni felici e contraddittori che preludono alla perdita dell'innocenza.
Opera terza di Terence Davies, che torna a raccontare, con evidenti cenni autobiografici, la dissoluzione di un mondo lontano nella memoria ma vivido nel cuore, metafora evidente di un'infanzia ricca di momenti felici e bui, di gioie e di delusioni, del calore familiare e della rudezza del mondo esterno (specie della scuola), il tutto ricordato con affetto e nostalgia. Il racconto mischia il piano della realtà con digressioni oniriche e concilia toni più melodrammatici con tocchi di umorismo, mentre la narrazione è cadenzata una tenerezza mista a malinconia e a un lirismo sempre sorprendente per come sa emozionare in modo essenziale e profondo. Seguito ideale di Voci lontane...sempre presenti (1988), il film di Davies è abile a evitare qualsiasi manierismo, creando un'atmosfera vagamente onirica a dir poco suggestiva e spiazzante che restituisce un senso di solitudine e al contempo di magia e meraviglia (esemplare l'amore che traspare per la musica e per il cinema), dando vita a un racconto agrodolce che sa essere struggente per come illustra anni felici e contraddittori che preludono alla perdita dell'innocenza.