Il profondo desiderio degli dei

Kamigami no fukaki yokubô

Anno

Paese

Durata

173

Formato

Regista

Nell'immaginaria isola di Kurage, a sud-ovest del Giappone, gli abitanti conducono una vita semi-primitiva, vincolati a credenze e superstizioni di ogni tipo. Fra di loro c'è la famiglia Futori che, sospettata di praticare l'incesto, è stata emarginata e costretta a espiare la propria colpa. Un giorno arriva da Tokyo l'ingegnere Kariya (Kazuo Kitamura): il suo compito è di supervisionare la costruzione di un pozzo d'acqua necessario alla locale raffineria di zucchero.

Prodotto dalla Nikkatsu e, in parte minore, dalla Imamura Productions, è il film più ambizioso mai diretto da Shhei Imamura (quasi tre ore di durata nel montaggio definitivo, diciotto mesi di lavorazione a fronte dei sei previsti), nonché la sua prima esperienza con la pellicola a colori. Risultato: un flop al botteghino, che ha determinato in ultima battuta l'auto-esilio del regista dal cinema di fiction per oltre un decennio. Giunto al suo decimo lungometraggio, Imamura radicalizza l'interesse antropologico su cui ha modellato la propria poetica a partire da Cronache entomologiche del Giappone (1963), e affronta di petto la questione sull'identità giapponese, forse in parte influenzato dal coevo sviluppo del nihonjinron (produzione di testi sociologici e psicologici sulla società giapponese). In un tempo imprecisato, al confine fra mito e presente, va in scena la sostituzione silenziosa di un mondo rurale e primitivo con uno moderno e tecnologicizzato. Cronaca drammatica della sparizione di una civiltà o racconto allegorico del Giappone occidentalizzato del dopoguerra? Imamura, come di consueto, non dà risposte e non emette giudizi: se la modernizzazione porta con sé oblio e distruzione, la vita tradizionale non è di per sé migliore, carica com'è di superstizioni brutali e disumane. Resta il fascino irrazionale di un'esistenza più libera e autentica, governata da una sessualità selvaggia e primordiale che, anche solo per un attimo, riesce a illudere l'uomo di salire allo stesso livello degli dei. Sceneggiato dal surrealista Keiji Hasebe e girato sull'isola di Ishigaki nell'arcipelago di Okinawa, è un'opera potente e squilibrata, visionaria e disordinata, grandiosa ma non magniloquente, che nel suo incedere rapsodico e indisciplinato chiude formalmente la prima importante fase del cinema del suo autore.
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