Ars Amandi – L'arte di amare
Ars amandi
Durata
92
Formato
Regista
Ovidio (Massimo Girotti), raffinato poeta e uomo di elevato intelletto, aiuta la giovane coppia composta da Claudia (Marina Pierro) e dal di lei amante Cornelius (Philippe Taccini) a sviluppare e nutrire il loro desiderio amoroso.
Fecondità letterarie di ogni sorta attraversano e inumidiscono, da sempre, il cinema di fiction del polacco Walerian Borowczyk: siano leggende popolari, o influenze di autori come André Pieyre de Mandiargues, le sue opere sono fortemente intrise di contaminazioni e intertestualità. Accade anche con Ars Amandi – L'arte di amare, che il regista co-sceneggia insieme a Enzo Ungari e che prende ispirazione da Ars amatoria, il poema didascalico in tre libri composto da Ovidio tra il 1 a.C. e il 1 d.C.: non siamo ai livelli del pessimo e successivo Emmanuelle 5 (1987), ma qui Borowczyk dimostra di aver completamente perduto il timone di un ragionamento pertinente sull'erotismo, che diventa bieco dispositivo di pruderie ed estetismi facili e raffazzonati, a vantaggio di un racconto fastidioso, pretenzioso e scioccamente languido, ai limiti della misoginia e assolutamente incapace di cavare riflessioni sensate che esulino dalla prurigine, dall'onirismo e dall'ammiccamento. Sprecatissimo il cast, Girotti su tutti. Borowczyk si crogiola in una bambagia che non può più permettersi: la forza, anche discutibile, di opere come La bestia (1975) è ormai un pallido ricordo.
Fecondità letterarie di ogni sorta attraversano e inumidiscono, da sempre, il cinema di fiction del polacco Walerian Borowczyk: siano leggende popolari, o influenze di autori come André Pieyre de Mandiargues, le sue opere sono fortemente intrise di contaminazioni e intertestualità. Accade anche con Ars Amandi – L'arte di amare, che il regista co-sceneggia insieme a Enzo Ungari e che prende ispirazione da Ars amatoria, il poema didascalico in tre libri composto da Ovidio tra il 1 a.C. e il 1 d.C.: non siamo ai livelli del pessimo e successivo Emmanuelle 5 (1987), ma qui Borowczyk dimostra di aver completamente perduto il timone di un ragionamento pertinente sull'erotismo, che diventa bieco dispositivo di pruderie ed estetismi facili e raffazzonati, a vantaggio di un racconto fastidioso, pretenzioso e scioccamente languido, ai limiti della misoginia e assolutamente incapace di cavare riflessioni sensate che esulino dalla prurigine, dall'onirismo e dall'ammiccamento. Sprecatissimo il cast, Girotti su tutti. Borowczyk si crogiola in una bambagia che non può più permettersi: la forza, anche discutibile, di opere come La bestia (1975) è ormai un pallido ricordo.