Fenix (Axel Jodorowsky) è impazzito dopo aver visto il padre Orgo (Guy Stockwell) tagliare le braccia alla madre (Blanca Guerra) prima di togliersi la vita. Riuscirà a scappare dal manicomio in cui è rinchiuso è fuggirà insieme alla madre: diventerà il suo servo.

Dopo La montagna sacra (1973), il cinema spirituale e surrealista del cileno Alejandro Jodorowsky aveva dimostrato un calo d'ispirazione con il modesto Tusk (1980) ma, nove anni dopo, il regista sembra proprio non aver esaurito completamente gli assi nella manica. Ammiratore di Breton, amico di Franco Battiato, "inventore" dei film di mezzanotte e diffusore della psicomagia, il regista sudamericano ha realizzato un'opera figlia della sua poetica degli esordi ma anche del thriller psicanalitico à la Psyco (1960) di Alfred Hitchcock e delle atmosfere circensi dei film di Federico Fellini. Il mix è tutto sommato riuscito, ma distribuito in tempistiche asimmetriche: il lungo e folle flashback felliniano è colmo di parentesi gratuite ma, in generale, l'idea principale di inquietudine barocca è resa con la giusta dose di virtuosismi estetici, mentre lo sviluppo psicologico dei personaggi, compensato dalla messa in scena visionaria, risulta alquanto banale e derivativo (sceneggiatura dello stesso Jodorowsky con la collaborazione di Claudio Argento e Roberto Leoni). Un oggetto misterioso e che sfugge a qualsiasi classificazione, da ammirare per la sua originalità grandguignolesca e per i suoi passaggi più (volontariamente?) trash.
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