La storia vera della pittrice Séraphine de Senlis (Yolande Moreau) e del collezionista d'arte Wilhelm Uhde (Ulrich Tukur) che ne scoprì il talento, nascosto sotto le vesti laide di un'umile serva.

Nell'epoca in cui i saloni espositivi destavano scandalo, nel primo decennio del Novecento, tra le varie correnti d'avanguardia si ritagliò un piccolo spazio anche l'arte naïf (o primitivismo moderno, come preferisce chiamarlo il critico e collezionista Uhde), movimento nato con Gauguin, il primo Picasso e portato avanti da Henry Rousseau. Séraphine de Senlis rientra nello stesso filone artistico e contemporaneamente se ne discosta, come molti artisti del tempo. Incolta, autodidatta, inconsapevole del proprio talento: è l'ispirazione divina, il “richiamo degli angeli” a guidare la sua pittura rituale, quasi sciamanica. È grazie al mistero interiore, all'eccentricità e stravagante simpatia della sua protagonista, angelica e diabolica nello stesso istante, che il biopic di Provost funziona, così come tutta la prima metà; ma, nella seconda parte, le problematiche di scrittura del personaggio del mecenate tedesco emergono senza trovare una soluzione. Se Séraphine per dipingere ruba i colori alla natura, al sangue, ai fiori e alla terra, non si può dire lo stesso del film, che risulta molto più convenzionale della sua protagonista.
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