Lulù (Anne Bennent) ha un corpo mozzafiato, umili origini, un viso d'angelo e un animo diabolico da mangiatrice di uomini: tradisce il marito (Jean-Jacques Delbo), seduce un pittore (Michele Placido), e circuisce il figlio (Hans-Jürgen Schatz) del suo antico protettore (Heinz Bennent). Sul suo periglioso sentiero, però, appare Jack lo squartatore (Udo Kier).

Walerian Borowczyk, aiutato nella stesura della sceneggiatura da Anton Giulio Majano e Géza von Radványi, rilegge in chiave erotico-perversa il classico di Frank Wedekind, del 1904, che aveva già ispirato, tra gli altri, Il vaso di Pandora (1928) di G.W. Pabst, con Louise Brooks. La versione del regista polacco, però, denuncia in maniera evidente i limiti del suo autore: attenzione eccessiva a un formalismo raffinato, laborioso ma – alla fine dei giochi – inutilmente autoreferenziale, per giunta privato dei ragionamenti provocatori sul corpo, l'eccitazione e il comportamento che investono le sue opere precedenti (da La bestia del 1975 a Tre donne immorali?, del 1979). Il raccontino di Lulù non si discosta mai dalle convenzioni del soft-core pruriginoso, a servizio di una sceneggiatura di buona fattura, ma a volte posticcia. La protagonista è filtrata da indulgenza, sciatterie narrative e malizia, e Placido non è esattamente quel che si dice un attore memorabile. Udo Kier lascia ovviamente il segno.
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