La vie en rose
La môme
Durata
140
Formato
Regista
Édith Giovanna Gassion (Marion Cotillard) sfugge a una vita di miseria per inseguire i suoi sogni di gloria. Grazie a una vocalità da brivido, diverrà la leggendaria Édith Piaf, ma il successo sarà minato da tragedie personali, salute cagionevole e dipendenza da antidolorifici e morfina.
Un'apologia assoluta della celebre cantautrice francese (1915-1963), tratteggiata con mano pesante da Olivier Dahan. La sceneggiatura, opera del regista e di Isabelle Sobelman, sfugge al realismo per delineare un ritratto soggettivo, intimista e fastidiosamente mistificatorio (la sgradevolezza della protagonista come conseguenza dei drammi esistenziali) di uno dei personaggi più complessi e tragici del XX secolo. Tutto resta presuntuosamente in superficie, senza doverosi approfondimenti psicologici: il risultato è un film prolisso e dal ritmo catatonico, con uno sfoggio inutile di virtuosismo strutturale (l'antilinearità, la sovrapposizione confusa di piani temporali differenti) e tecnico (l'estrema e gratuita mobilità della macchina da presa), che basa la sua ragione d'essere su una confezione laccata (notevoli la ricostruzione d'epoca e la fotografia di Tetsuo Nagata) e sulle interpretazioni di un cast in ottima forma (straordinariamente mimetica Marion Cotillard). Un'occasione sprecata per un'icona che avrebbe meritato ben di meglio. Emmanuelle Seigner è Titine, Clotilde Courau è Anetta, Gérard Depardieu è Louis Leplée. Presentato in concorso al Festival di Berlino e vincitore di due Oscar (miglior attrice protagonista, trucco). Il titolo si riferisce all'omonima hit (1945) cantata dalla Piaf.
Un'apologia assoluta della celebre cantautrice francese (1915-1963), tratteggiata con mano pesante da Olivier Dahan. La sceneggiatura, opera del regista e di Isabelle Sobelman, sfugge al realismo per delineare un ritratto soggettivo, intimista e fastidiosamente mistificatorio (la sgradevolezza della protagonista come conseguenza dei drammi esistenziali) di uno dei personaggi più complessi e tragici del XX secolo. Tutto resta presuntuosamente in superficie, senza doverosi approfondimenti psicologici: il risultato è un film prolisso e dal ritmo catatonico, con uno sfoggio inutile di virtuosismo strutturale (l'antilinearità, la sovrapposizione confusa di piani temporali differenti) e tecnico (l'estrema e gratuita mobilità della macchina da presa), che basa la sua ragione d'essere su una confezione laccata (notevoli la ricostruzione d'epoca e la fotografia di Tetsuo Nagata) e sulle interpretazioni di un cast in ottima forma (straordinariamente mimetica Marion Cotillard). Un'occasione sprecata per un'icona che avrebbe meritato ben di meglio. Emmanuelle Seigner è Titine, Clotilde Courau è Anetta, Gérard Depardieu è Louis Leplée. Presentato in concorso al Festival di Berlino e vincitore di due Oscar (miglior attrice protagonista, trucco). Il titolo si riferisce all'omonima hit (1945) cantata dalla Piaf.