L'ingegnere Luka (Slavko Stimac) vive in una stazione su una ferrovia di montagna, al confine tra Bosnia e Serbia. Quando scoppia la guerra, il figlio calciatore (Vuk Kostic) è chiamato sotto le armi e viene fatto prigioniero. L'uomo cattura l'infermiera musulmana bosniaca Sabaha (Natasa Tapuskovic) per organizzare uno scambio, ma un sentimento inaspettato complicherà la situazione.

Quasi dieci anni dopo le allegorie, e le furiose polemiche che lo accompagnarono, di Underground (1995), Emir Kusturica decide di fare i conti direttamente con la guerra di Bosnia, che ha dissolto la Jugoslavia e distrutto la sua città, Sarajevo. Il suo sguardo è ancora una volta impossibile da incasellare: il conflitto arriva all'improvviso e resta quasi sempre sullo sfondo, come un temporale. Il regista si concentra sull'individuo più che sulla massa, sulle storie più che sulla Storia (l'interesse è tutto per Luka, un uomo buono e incruento, innamorato e gettato nella disperazione dagli effetti del caos sui suoi affetti). Ma il tutto resta abbozzato e poco incisivo: il risultato è una commedia moderata e tutto sommato innocua, in cui l'amore vince (retoricamente) su tutto, anche se Kusturica non risparmia strali ai nazionalisti (contrabbandieri ridicoli) e all'Occidente (visto nella stupidità dei suoi media). Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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