Los Angeles, 1970. Larry “Doc” Sportello (Joaquin Phoenix), investigatore privato con velleità hippie, è spinto dell'ex fidanzata Shasta (Katherine Waterston) a indagare sulla scomparsa del ricco Mickey Wolfmann (Eric Roberts). Incalzato dagli eventi e ostacolato dal burbero detective Christian “Bigfoot” Bjornsen (Josh Brolin), si troverà a dover fronteggiare situazioni al limite dell'assurdo.

Paul Thomas Anderson adatta per il grande schermo l'omonimo romanzo di Thomas Pynchon, limando funzionalmente temi e situazioni ma rispettandone l'arguto e spiazzante spirito originario. Conscio della lezione altmaniana (si veda Il lungo addio del 1973), il regista statunitense stravolge gli stilemi del genere noir, contaminandoli (con inaspettata ironia) a inserti grotteschi che denotano uno spiccato gusto del nonsense, e riesce a riflettere la psichedelia di un mondo impazzito (siamo in piena era Nixon, tra contestazioni agguerrite e rifiuti nichilisti), in cui la verità sembra sempre più lontana e irraggiungibile («Dove ti trovo?»; «Non mi trovi»), detonatore di evidenti rimandi a una contraddittoria contemporaneità. Specchio deformato e deformante di questa realtà è Sportello, antieroe fragile e al tempo ferreo, perennemente travolto da eventi surreali che non è in grado di controllare, ma portatore di un'ormai troppo rara coerenza. Le simmetrie tipicamente andersoniane lasciano spazio a uno stile solo in apparenza meno maestoso: il mirabile rigore di interminabili e ossessive carrellate laterali (ad accompagnare e condividere, con tenerezza, le disavventure di una buffa umanità) e la lentezza quasi rituale con cui la macchina da presa si avvicina ai personaggi che dialogano tra loro, a voler afferrare un attimo di autenticità che subito sfugge, testimoniano la piena armonia tra forma e contenuto. Opera complessa e strutturata, straniante e imprescindibile. Cast in stato di grazia (straordinarie le interpretazioni di Phoenix e Brolin, che si avvalgono di comprimari notevolissimi) e almeno una sequenza da antologia (il secondo incontro tra Shasta e Sportello, pregno di un erotismo destabilizzante). Fotografia di Robert Elswit, fondamentale colonna sonora di Jonny Greenwood.


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