Banat (Il viaggio)
Durata
82
Formato
Regista
Ivo (Edoardo Gabbriellini) è un agronomo, ma la mancanza di lavoro in Italia lo induce ad accettare senza riserve un impiego nel Banat, regione rumena; Clara (Elena Radonicich), che si è appena lasciata alle spalle una relazione sentimentale, sta per rimanere disoccupata. Le loro due solitudini si sfiorano, s’incontrano e quasi si innamorano, ma la distanza è in agguato sui loro destini.
Il regista Adriano Valerio, già apprezzato e premiato per i suoi corti, fa il grande salto e passa al lungometraggio con un’opera prima che però non conferma affatto le premesse. Il racconto, un’ordinaria vicenda di emigrazione obbligata sullo sfondo di una crisi economica stritolante, è infatti acerbo, sfilacciato e in più punti quasi dilettantesco: lo sguardo di Valerio poggia su personaggi inconsistenti (tanto i protagonisti quanto la dimenticabile apparizione di una sprecata Piera Degli Esposti) e su dialoghi spesso trascurati e di servizio, per tacere di un’idea di messa in scena imberbe e azzerata rispetto a un grado minimo di spessore. Un lavoro inerte, circostanziale e non pervenuto che, con l’alibi del racconto di due personaggi ai margini, adotta uno stile pensoso e rarefatto decisamente controproducente, gratuitamente asettico e glaciale. La sensibilità autoriale per gli ambienti, gli spazi e soprattutto i paesaggi ci sarebbe anche (e qua e là si intravede), ma corpi e situazioni non presentano alcuna verità né necessità e paiono puntualmente sacrificabili e posticci come la cornice che li ospita. Uno sterile esercizio di rigore e pauperismo, un voto di castità immotivato e ombelicale. Unico film italiano presentato alla 30° Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del cinema di Venezia nel 2015: si poteva decisamente festeggiare meglio il trentennale.
Il regista Adriano Valerio, già apprezzato e premiato per i suoi corti, fa il grande salto e passa al lungometraggio con un’opera prima che però non conferma affatto le premesse. Il racconto, un’ordinaria vicenda di emigrazione obbligata sullo sfondo di una crisi economica stritolante, è infatti acerbo, sfilacciato e in più punti quasi dilettantesco: lo sguardo di Valerio poggia su personaggi inconsistenti (tanto i protagonisti quanto la dimenticabile apparizione di una sprecata Piera Degli Esposti) e su dialoghi spesso trascurati e di servizio, per tacere di un’idea di messa in scena imberbe e azzerata rispetto a un grado minimo di spessore. Un lavoro inerte, circostanziale e non pervenuto che, con l’alibi del racconto di due personaggi ai margini, adotta uno stile pensoso e rarefatto decisamente controproducente, gratuitamente asettico e glaciale. La sensibilità autoriale per gli ambienti, gli spazi e soprattutto i paesaggi ci sarebbe anche (e qua e là si intravede), ma corpi e situazioni non presentano alcuna verità né necessità e paiono puntualmente sacrificabili e posticci come la cornice che li ospita. Uno sterile esercizio di rigore e pauperismo, un voto di castità immotivato e ombelicale. Unico film italiano presentato alla 30° Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del cinema di Venezia nel 2015: si poteva decisamente festeggiare meglio il trentennale.