Bubber Reeves (Robert Redford), ragazzo ribelle dalla giovinezza turbolenta, evade dal carcere e si dirige verso il borgo natio di Tarl, nel Texas. Lo attendono tutti con il fucile spianato, per varie ragioni. Solo lo sceriffo locale (Marlon Brando) tenterà di difenderlo.

Quinta regia per Arthur Penn, subito dopo il clamoroso insuccesso commerciale di Mickey One (1965). Molto diverso stavolta l'assetto produttivo, affidato alle fastose ambizioni di Sam Spiegel, che mise a disposizione di Penn un cast di prima grandezza. La sceneggiatura di Lilian Hellman, tratta da un dramma di Horton Foote, tesse una fitta rete di personaggi che da più angolazioni converge verso i due protagonisti della vicenda: lo sceriffo Calder e il fuggiasco Reeves. Ed è nel finale, dopo una lunga e complessa costruzione narrativa, che si raggiunge il vertice della tensione e si esplicita il significato del titolo. In questo amarissimo apologo dalle evidenti connotazioni politiche, l'attacco all'establishment americano non potrebbe essere espresso con maggiore vigore: la cittadina di Tarl è in mano a miliardari corrotti e borghesi ipocriti, che sfogano le loro pulsioni represse in ronde notturne e infedeltà coniugali. Nello sconsolato finale anche allo sceriffo Calder tocca prendere atto della immutabilità di uno scenario sociale dominato dalla legge del più forte. Ottimo tutto il cast, con un Brando ancora una volta perfettamente calato nel suo tormentato personaggio.
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