Dopo un trattamento di tre anni a seguito di un esaurimento nervoso, l'ex stella del cinema Jack Andrus (Kirk Douglas), un tempo sposato a Charlotte (Cyd Charisse), vola a Roma per girare un film diretto dall'amico Maurice Kruger (Edward G. Robinson), regista anch'egli in crisi. Scopre che in realtà per lui non c'è nessun ruolo, e che tutte le attenzioni sono per un nuovo e giovane divo (George Hamilton). Quando Maurice viene ricoverato in ospedale dopo un infarto, Jack dirige il film al suo posto, attirando le ire della moglie dell'amico (Claire Trevor) e rischiando di ri-cadere nel tunnel dell'alcol.

Corrosivo e acidulo, il film, velatamente autobiografico, ripercorre la stessa linea del ben più riuscito Il bruto e la bella (1952), sempre con il bravo Kirk Douglas protagonista. Se nell'opera precedente Minnelli tentava di inquadrare Hollywood in un bacino di contraddizioni e di umanità alla deriva, qui è più incline a favorire l'aneddotica, quando non il pettegolezzo. Il racconto moral-sentimentale di Andrews è sceneggiato con troppa leziosità e poco mordente da Charles Schnee, sulla base dell'omonimo romanzo (1960) di Irvin Shaw. Il rischio di confezionare uno smorfioso compendio sui vizi di Hollywood in trasferta è alto, e Minnelli ci casca alla grande. Peccato. Il cast, tuttavia, è di ottimo livello: oltre al bravo Douglas spiccano un sempre strepitoso Edward G. Robinson, la bella e talentuosa Cyd Charisse e Claire Trevor, chiamata qui a interpretare una insopportabile Santippe.
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