Collateral Beauty

Collateral Beauty

Anno

Paese

Usa

Generi

Durata

97

Formato

Regista

A seguito di una tragedia personale che causa la perdita della sua figlioletta di sei anni, un importante manager della pubblicità di New York (Will Smith) decide di vivere la sua vita lasciandosi alle spalle l’entusiasmo e la carica di una volta. Vedendolo abbandonarsi a se stesso, alcuni suoi amici escogitano un piano drastico per evitare che tutto gli sfugga di mano.

Tempo, Amore, Morte: sono questi i tre pilastri intorno ai quali Will Smith, pubblicitario con modi da imbonitore, stimola il proprio uditorio all'inizio del film, facendo leva sul proprio carisma comunicativo prima di sprofondare nel baratro della depressione. E sono proprio Tempo, Amore e Morte i motori fondamentali di questo desolante filmetto che non arretra mai di un millimetro di fronte alla pornografia del dolore, calcando la mano in maniera grossolana e perfino miserevole. Smith, mai così lontano dai tempi in cui fu Re Mida di Hollywood, dà l’idea di non azzeccarne più una e, in questo caso, si ritrova alle prese con un personaggio che per toni e tratti ricorda molto da vicino quello di Sette anime (2008) di Gabriele Muccino. L’enfasi fuori controllo della recitazione è analoga, ma è soprattutto la sceneggiatura di Allan Loeb a gridare vendetta: l’idea di personificare il tempo, l’amore e la morte è ridicolmente kitsch, le metafore a dir poco rivedibili (il protagonista che va contromano in bici per strade supertrafficate) e i personaggi si intersecano malamente in uno script che fa acqua da tutte le parti, suscitando un misto di irritazione e sconcerto. Loeb ha dichiarato di aver lavorato sei mesi (!) alla stesura del copione, ma il risultato finale, per usare un eufemismo, non pare averne tratto giovamento: Collateral Beauty pare infatti un testo di Fabio Volo che incontra il misticismo New Age, facendo a gara di stucchevolezza con tutt’e due i riferimenti e gonfiando il petto a vanvera con riferimenti pseudo-colti e banalità parafilosofiche elargiti a caso (il teatro di Grotowski, Stella Adler). Finale letteralmente inguardabile, dove i tumori vengono sostituiti dalle esatte diciture mediche e tecniche per tentare di suscitare più pietà nello spettatore e il carico di piagnistei si fa letteralmente insostenibile. Raramente si è visto un parterre di star così sprecato. Sui titoli di coda Let’s Hurt Tonight degli One Republic.
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