Don Gerardo (Michele Placido) torna con la memoria alla seconda metà degli anni cinquanta. Da ragazzo (Piero Pischedda), nel suo paese natale in Lucania, si sente estraneo al suo ambiente familiare, fuori luogo con i suoi coetanei e viene espulso dal suo collegio per sospetta omosessualità. Gerardo trova consolazione nell'amicizia con Liliana (Giovanna Mezzogiorno), giovane maestrina militante comunista osteggiata dalla comunità e di cui il ragazzo si innamora.

Malinconica opera di Michele Placido che riflette sull'importanza della memoria e sul carico di disillusioni (politiche, sentimentali, famigliari, sociali) che il passaggio dall'adolescenza all'età adulta porta con sé. Ma se il personaggio interpretato (assai bene) da Giovanna Mezzogiorno è interessante e sfaccettato, determinato e dolente, decisamente meno convincenti sono i vari comprimari, macchiette tediose e abbastanza inutili che danno a tutta l'operazione un senso di schematismo pressapochista che riduce l'affresco d'epoca a una sbiadita cartolina. La dimensione politica e antropologica sono quindi sostanzialmente annacquate da una scrittura refrattaria alla finezze e troppo attenta alle sottolineature per essere realmente efficace. Paradossalmente, più convincente il versante melò abile nel descrivere il casto affetto tra Liliana e Gerardo con una delicatezza decisamente non banale. Il titolo del film si ispira a un verso di Giosuè Carducci: «...dilla ancora la favola del perduto amore».
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