Dietro la maschera
Mask
Durata
120
Formato
Regista
La storia vera di Rocky Dennis (Eric Stoltz), ragazzo sedicenne affetto da leontiasi – una malattia che deforma il viso in modo mostruoso – la cui esistenza è divisa tra il rapporto tenero con la madre (Cher) e quello problematico con il mondo “normale”.
Uno dei film dall'approccio più interessante, insieme a The Elephant Man (1980) di David Lynch, nella trattazione diretta e priva di pietismo del problema della deformazione del corpo e delle conseguenze che porta nel rapporto con i cosiddetti “normali”. Bogdanovich, regista tra i più cinefili della New Hollywood, qui rinuncia alla sua poetica autoriale (per la verità già ben declinante da diversi anni) e confezione un dramma realistico asciutto, che riesce a essere dolce evitando le rapide del cinema ricattatorio e punitivo. E non era facile. Interessanti anche i personaggi di contorno, con la madre rocciosa ma con problemi di droga (una sorprendente Cher, premiata a Cannes) e il gruppo di motociclisti che stanno vicini a lei e al figlio. Certo, il film poteva osare un pochino di più nella riflessione sul tema “normalità/anormalità”: ogni qualvolta sta per toccare corde più profonde e complesse, se ne allontana impaurito, rifugiandosi nella rappresentazione standard, benché mai melodrammatica, della vita di un “diverso”. A ogni modo, sulla lunga distanza rimane l'ultimo film interessante e riuscito di Peter Bogdanovich.
Uno dei film dall'approccio più interessante, insieme a The Elephant Man (1980) di David Lynch, nella trattazione diretta e priva di pietismo del problema della deformazione del corpo e delle conseguenze che porta nel rapporto con i cosiddetti “normali”. Bogdanovich, regista tra i più cinefili della New Hollywood, qui rinuncia alla sua poetica autoriale (per la verità già ben declinante da diversi anni) e confezione un dramma realistico asciutto, che riesce a essere dolce evitando le rapide del cinema ricattatorio e punitivo. E non era facile. Interessanti anche i personaggi di contorno, con la madre rocciosa ma con problemi di droga (una sorprendente Cher, premiata a Cannes) e il gruppo di motociclisti che stanno vicini a lei e al figlio. Certo, il film poteva osare un pochino di più nella riflessione sul tema “normalità/anormalità”: ogni qualvolta sta per toccare corde più profonde e complesse, se ne allontana impaurito, rifugiandosi nella rappresentazione standard, benché mai melodrammatica, della vita di un “diverso”. A ogni modo, sulla lunga distanza rimane l'ultimo film interessante e riuscito di Peter Bogdanovich.