La diciassettenne Effi (Hanna Schygulla), nonostante l'ancor tenera età, viene data in sposa a un barone (Wolfgang Schenk) decisamente più anziano di lei. Un matrimonio di solo interesse che però non evolve mai in qualcosa di più, portando la ragazza a tradire il marito e a essere ripudiata.

Dal romanzo omonimo di Theodore Fontane, Effi Briest è un'operazione di cinema letterario o, se si preferisce, di letteratura cinematografica, in cui Fassbinder si interroga sul gesto di filmare la pagina scritta, sondandone limiti e potenzialità. Il bianco e nero in cui viene calato il testo di partenza è di una purezza cristallina, ed è l'unico lavoro in costume della fulminante carriera di Fassbinder, animato dalla volontà di una riflessione metalinguistica non da poco, per di più su un tipo di cinema che può facilmente essere etichettato come polveroso o ammuffito. Nonostante la sobrietà, al limite del voto di castità, con cui Fassbinder si approccia alla materia per evitare che il mezzo cinematografico soverchi con le su potenzialità retoriche ciò che è evocato dalla parola, il sentore complessivo è quello di un film asciugato da ogni possibile guizzo creativo, sacrificato al cospetto di una scarnificazione totale. Efficace utilizzo della voce fuori campo, e il più riuscito tra gli adattamenti cinematografici del romanzo.


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