Voglio solo che mi amiate

Ich will doch nur, daß ihr mich liebt

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104

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Peter (Vitus Zeplichal) è un uomo onesto e serio fin dall'infanzia, un'età della sua vita in cui è stato sottoposto a un'educazione di grande fermezza e autorità. Da marito Peter prova a elevare il proprio status, ma la debolezza è quella di una volta e quando le cose non vanno più per il verso giusto si rivela incapace di risollevarsi.

Uno dei film di Fassbinder più avvolti nel pallore e nella depressione, che parla dell'assenza di volontà, del silenzio delle proprie esigenze come paralisi e primo passo, forse il più decisivo, verso l'abisso della solitudine e della disperazione. Il regista asseconda tale percorso con un stile grigio e afono, che punta più all'estetica dei suoi esordi che alla cosiddetta stagione dei grandi melodrammi "fassbinderiani" come La paura mangia l'anima (1974). Con Voglio solo che vi amiate, però, si concentra troppo su una messa in scena del “contorno” (i genitori, la moglie) strumentale e prevedibile, poco stimolante dal punto di vista psicologico, nonostante la regia sia di un livello decisamente sopra la media. Un'opera sul pudore discreto del fallimento, che però non è esente dal dramma e dalla disperazione, cuore pulsante di un cinema sempre politico, anche nei risultati “minori”.


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