
The Fall
The Fall
Durata
117
Formato
Regista
Nella Los Angeles degli anni Venti, uno stunt-man seriamente ferito sul set e con manie suicide (Lee Pace) e una bambina col braccio rotto (Catinca Untaru) sono ricoverati nello stesso ospedale: si incontrano, e lui inizia a raccontarle un'affascinante storia d'avventure, vendette e amore. Per la bambina realtà e fantasia del racconto inizieranno presto a mescolarsi.
Denso, affabulatorio e spesso affascinante omaggio al potere, anche salvifico, della fantasia e del racconto, il secondo lungometraggio di Tarsem Singh è un pot-pourri di sensazioni, visioni, luoghi, citazioni e atmosfere. Il regista di origini indiane, così come nel suo esordio The Cell (2000) e come nel successivo Immortals (2011), cerca di colpire e sorprendere lo spettatore praticamente in ogni inquadratura, sia con uno stile visionario, barocco e aggressivo (è molto raro vedere la macchina da presa ferma), sia esaltando la bellezza delle scenografie e degli ambienti, o inventando architetture magniloquenti. Ne esce un film a volte bellissimo ed emozionante, e altre volte pacchiano e ridondante, ma che colpisce spesso nel segno. È anche, nel profondo, un racconto di crescita e di formazione (la bambina) e di catarsi (lo stuntman), entrambe dovute, in qualche modo, proprio all'intervento della fantasia e del racconto. C'è tanta carne al fuoco, ma il piatto nel complesso risulta tutt'altro che sgradevole, nonostante alcuni momenti poco riusciti. Ispirato a Yo ho ho (1981) del bulgaro Zako Heskiya.
Denso, affabulatorio e spesso affascinante omaggio al potere, anche salvifico, della fantasia e del racconto, il secondo lungometraggio di Tarsem Singh è un pot-pourri di sensazioni, visioni, luoghi, citazioni e atmosfere. Il regista di origini indiane, così come nel suo esordio The Cell (2000) e come nel successivo Immortals (2011), cerca di colpire e sorprendere lo spettatore praticamente in ogni inquadratura, sia con uno stile visionario, barocco e aggressivo (è molto raro vedere la macchina da presa ferma), sia esaltando la bellezza delle scenografie e degli ambienti, o inventando architetture magniloquenti. Ne esce un film a volte bellissimo ed emozionante, e altre volte pacchiano e ridondante, ma che colpisce spesso nel segno. È anche, nel profondo, un racconto di crescita e di formazione (la bambina) e di catarsi (lo stuntman), entrambe dovute, in qualche modo, proprio all'intervento della fantasia e del racconto. C'è tanta carne al fuoco, ma il piatto nel complesso risulta tutt'altro che sgradevole, nonostante alcuni momenti poco riusciti. Ispirato a Yo ho ho (1981) del bulgaro Zako Heskiya.