Parigi, inizio Novecento. Il ménage coniugale tra Jean (Pascal Greggory) e Gabrielle (Isabelle Huppert) si è fatto monotono, dopo dieci anni, e, nonostante le condizioni agiate e l'apparente mancanza di preoccupazioni, i due sono freddi tra di loro. Un giorno la moglie se ne va lasciando solo una breve lettera.

Tratto da un racconto di Joseph Conrad, Il ritorno, Gabrielle trasferisce a Parigi l'originaria vicenda londinese e prolunga di tre giorni l'arco temporale che nella fonte letteraria era di uno solo. Niente da dire sull'elegante (un po' patinata) messinscena e sulle impeccabili interpretazioni, ma la sceneggiatura di Anne-Louise Trividic e lo stesso Chéreau risente della matrice letteraria di partenza, diventando presto verboso, con un'aria di teatro da camera che non giova molto al respiro cinematografico. Qualche tentativo di azzardo c'è (il colore che si alterna al bianco e nero), ma nel complesso l'insieme manca di vitalità, risultando raffinato nell'accezione più snob del termine. Presentato in concorso alla Mostra di Venezia.
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