Il caso Belle Steiner

In un’anonima cittadina di provincia, i coniugi Pierre (Guillaume Canet) e Cléa (Charlotte Gainsbourg) conducono una vita tranquilla: lui è un professore di matematica, lei gestisce un negozio. Fino a quando Belle, adolescente ospite a casa della coppia, viene trovata uccisa nella sua camera. Unico e ultimo testimone è Pierre, e per questo anche il primo sospettato di una estenuante inchiesta giudiziaria. 

Benoît Jacquot parte dal romanzo La morte di Belle di Georges Simenon per tessere un giallo estremamente contemporaneo che riflette sulla ricerca della giustizia e della verità, ma soprattutto sulla teoria e pratica della presunzione di non colpevolezza: che sembianze ha un colpevole? Certo, le basi non sono certo troppo originali (sulla sua scia ci sono anche titoli recenti come Il sospetto di Thomas Vinterberg e Anatomia di una caduta di Justine Triet), ma Jacquot apre comunque in maniera efficace l’interrogativo sulla colpevolezza del protagonista, concentrandosi sulla personalità dell’autore e sulla sua impassibilità di fronte alla tragedia. Pierre è il perfetto capro espiatorio – ordinario, algido, anaffettivo – e la sua figura evoca il disagio dello spettatore attraverso una spiacevole sensazione di morbosità confinata agli angoli della narrazione in piccoli dettagli significativi (la musica sinistra, il voyeurismo, il desiderio per l’assistente del giudice). La sceneggiatura non accantona la problematicità e il dilemma morale della tutela dell’accusato, ma evita a più riprese di approfondirlo facendosi a man a mano sempre più apatica nell’investigazione emotiva e fattuale della vicenda, proprio come il volto intenzionalmente inespressivo di Canet. Peccato però che il ritmo non sia sempre intenso al punto giusto e la sceneggiatura meno affilata del dovuto, ma la visione è comunque abbastanza coinvolgente e capace di portarci a sospendere il giudizio nei confronti dei presunti colpevoli, che sono in realtà presunti innocenti.