Human, Space, Time and Human
Human, Space, Time and Human
Durata
122
Formato
Regista
A bordo di una vecchia nave da guerra, viaggia un gruppo di passeggeri molto diversi tra loro: politici, gangster, prostitute e persino una giovane coppia di sposini in luna di miele. Tutti stanno per iniziare un viaggio che li porterà a oltrepassare le barriere dello spazio e del tempo.
Due anni dopo Il prigioniero coreano (2016), Kim Ki-duk dà vita a un nuovo film profondamente politico, tra i titoli più ambiziosi della sua intera carriera. Indubbiamente coraggioso e ricco di spunti degni di nota, Human, Space, Time and Human è un lungometraggio con cui Kim cerca di tornare ai fasti del suo cinema d’inizio nuovo millennio, puntando su una narrazione a capitoli evidenziata fin dal titolo (un po’ come in uno dei suoi capolavori, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera). Quello che si sviluppa sulla nave è un (micro)mondo dove regna la violenza, in cui il politico pronto per essere eletto prende il sopravvento convincendo gli altri passeggeri della sua buona fede. Quello che mostra Kim in questo racconto profondamente metafisico è uno spazio metaforico dell’intero pianeta, in cui gli uomini si distruggono l’un l’altro senza alcuna pietà e puntando solo sulla propria sopravvivenza. Con estremo cinismo e durezza, come dimostra anche la sequenza conclusiva, il regista punta su un registro allegorico, che sicuramente riesce a far riflettere, ma perde spesso le redini del proprio progetto finendo per risultare troppo caotico e ridondante. Resta una visione unica e un’esperienza comunque da fare, ma lungo il percorso ci sono davvero troppe esagerazioni e a volte il simbolismo si fa fin troppo esplicito. Presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2018.
Due anni dopo Il prigioniero coreano (2016), Kim Ki-duk dà vita a un nuovo film profondamente politico, tra i titoli più ambiziosi della sua intera carriera. Indubbiamente coraggioso e ricco di spunti degni di nota, Human, Space, Time and Human è un lungometraggio con cui Kim cerca di tornare ai fasti del suo cinema d’inizio nuovo millennio, puntando su una narrazione a capitoli evidenziata fin dal titolo (un po’ come in uno dei suoi capolavori, Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera). Quello che si sviluppa sulla nave è un (micro)mondo dove regna la violenza, in cui il politico pronto per essere eletto prende il sopravvento convincendo gli altri passeggeri della sua buona fede. Quello che mostra Kim in questo racconto profondamente metafisico è uno spazio metaforico dell’intero pianeta, in cui gli uomini si distruggono l’un l’altro senza alcuna pietà e puntando solo sulla propria sopravvivenza. Con estremo cinismo e durezza, come dimostra anche la sequenza conclusiva, il regista punta su un registro allegorico, che sicuramente riesce a far riflettere, ma perde spesso le redini del proprio progetto finendo per risultare troppo caotico e ridondante. Resta una visione unica e un’esperienza comunque da fare, ma lungo il percorso ci sono davvero troppe esagerazioni e a volte il simbolismo si fa fin troppo esplicito. Presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2018.