Dopo essere sfuggito all'ennesimo attentato, il ricco uomo d'affari Zsa-zsa Korda (Benicio del Toro) intraprende un viaggio per portare a termine un ultimo progetto imprenditoriale, il più ambizioso della sua carriera. Per farlo, viene accompagnato da sua figlia Liesl (Mia Threapleton), con la quale, attraverso avventure, intrighi e minacce di ogni sorta, imparerà a instaurare un rapporto più solido. 

A due anni di distanza dal precedente Asteroid City (2023), Wes Anderson continua a premere sull'acceleratore alimentando un'idea di cinema ancora più estrema e disorientante rispetto ai suoi esordi. La trama fenicia prosegue sulle intuizioni già proposte a partire da The French Dispatch (2021), dove una cornice estetica strabordante di dettagli fa da palcoscenico (letteralmente, i richiami al teatro e all'impostazione scenografica sono qui tanto evidenti quanto nei quattro cortometraggi firmati dal regista nel 2023 basati su altrettanti racconti di Roald Dahl) a intricati e verbosi risvolti di trama in cui le emozioni sembrano sacrificate a favore di un formalismo eccessivo. Se da una parte, quindi, il pubblico potrebbe giustamente sentire la mancanza della componente più calda e intima che connota i migliori lavori dell'autore (anche se comunque non mancano i rimandi ai temi più cari al regista, come la solitudine, la fragilità del nucleo familiare e l'ossessione per l'ambizione), dall'altra sono proprio il pensiero teorico e la sfida cinematografica in continua evoluzione a rendere affascinante e stimolante il suo percorso più recente. Così, tra i toni grotteschi da commedia nera, lo scheletro narrativo modellato sui film di spionaggio, siparietti comici a non finire, deliziosi camei (al solito, i nomi di star presenti nel cast non si contano), continui cambi di formato, colore, virate in bianco e nero, sguardi in macchina e ralenti, La trama fenicia è un caleidoscopico carnevale filmico che restituisce il caos frastornante dei tempi contemporanei, dove sotto l'assordante coltre di nomi, (presunti) fatti e informazioni, alla fine il rifugio più sicuro resta un'umile e taciturna partita a carte tra genitori e figli. La sodale Milena Canonero firma i (bellissimi) costumi, mentre per la prima volta la fotografia viene affidata al francese Bruno Delbonnel invece del fedelissimo Robert Yeoman. Presentato in concorso al Festival di Cannes.



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