Il cigno

Peter Watson ha un corpo piccolo e fragile, ha la faccia lentigginosa e occhiali con lenti spesse, è un allievo brillante all’ultimo anno di scuola, nonostante abbia solo 13 anni. Ama la musica e suona bene il pianoforte, non è bravo nello sport, è tranquillo ed educato: è la storia di un ragazzino che tenta, come può, di sfuggire dai bulli della sua città. 

Il cortometraggio fa parte della serie realizzata da Wes Anderson per Netflix ed è tratto da uno dei sette racconti brevi presenti in The Wonderful Story of Henry Sugar and Six More di Roald Dahl. Il cigno è una scanzonata favola in cui è il narratore a fare da protagonista: l’adulto Peter (interpretato da Rupert Friend) narra la vicenda, un adulto che però non ha perso il rancore per i due bulli che lo perseguitavano. Con sguardo in macchina e fare spedito, Anderson ci racconta attraverso questo espediente la storia tutto d’un fiato quasi come se la stesse leggendo. I colori pastello, le simmetrie e i brevi momenti di stop motion rendono ancora una volta inconfondibile lo stile del regista statunitense. Nel cortometraggio è la scenografia ad avere un ruolo fondamentale, arricchita da sapienti escamotage di regia e carrellate orizzontali che riescono a farci catapultare quasi in un teatro, con sfondi bianchi e sostegni a vista. Interessanti sono le costruzioni dei vari luoghi in cui è ambientato l’episodio: un canneto (da cui è possibile accedervi tramite porte) e un lago (mostrato come se lo spettatore avesse in mano un cannocchiale). Un'operazione fresca nel cinema ormai ridondante del regista che portando in scena una semplice fiaba per bambini, ancora una volta riesce a farci sognare tra sorrisi e grandi intuizioni di messa in scena.