Roger (Richard O'Sullivan) è un bimbo inglese giunto a Venezia per incontrarsi con il padre (Trevor Howard), un funzionario in servizio a Trieste. Tuttavia, l'uomo non si presenta all'appuntamento con il figlio che, preoccupato, sollecita la polizia per iniziare delle indagini.

Tratto da un romanzo di Graham Greene, La mano dello straniero è un film che si avvale di un intreccio piuttosto debole e non del tutto lineare (in alcuni momenti lo spettatore potrebbe sentirsi disorientato, e a ragione), utile solo per calcare la mano sulle emozioni dei personaggi e sugli eccessi patetici della storia. Mario Soldati dirige con la consueta grazia riuscendo a gestire il paesaggio e gli sfondi delle scenografie in maniera più che convincente, restituendo ai luoghi un senso di oppressione e claustrofobia che trasuda a pieni polmoni da molte inquadrature. Eppure la pellicola viaggia costantemente su due strade parallele (quella emotiva legata alle sorti del genitore, e quella più poliziesca mirata allo scioglimento dell'intrigo di base), senza riuscire ad approfondire in maniera efficace nessuna delle due e trattandole con fare piuttosto superficiale: una scarsa amalgama che alla lunga si fa sentire, sbilanciando il film e rendendolo più scollato del dovuto.
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